“La pazienza del popolo libico non è senza limiti.” Abdoulaye Bathily, il diplomatico senegalese, che da settembre guida la missione delle Nazioni Unite in Libia non ha dubbi. Il paese nordafricano rischia il collasso istituzionale. La Libia è divisa in due. Da un lato, a Tripoli, regna il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Lo guida il premier Hamid Dbeibah. Il mandato di quell’esecutivo è scaduto da un anno ma Dbeibah fa finta di nulla e continua a tessere tramare locali ed internazionali. L’ultima mossa di Dbeibah ha provocato un vero choc in Libia: il premier ha confermato di aver autorizzato l’estradizione negli Stati Uniti dell’ex ufficiale dei servizi segreti Mohammed Abouagela Masud. L’ex 007 legato al regime di Gheddafi è accusato dal governo federale di essere una delle menti dell’attentato di Lockerbie, che provocò l’esplosione di un volo Pan Am in Scozia, nel 1988, uccidendo 270 persone (190 vittime erano cittadini statunitensi).

Libia divisa in due, le Nazioni Unite vogliono le elezioni

A Bengasi, invece, continua la reggenza del parlamento di Tobruk guidato da Aguila Saleh. Quell’assemblea parlamentare controlla la Cirenaica anche grazie alla presenza del Lybian National Army, l’esercito fondato dal Maresciallo Haftar e diventato il braccio militare ufficiale di un pezzo di Libia.  In Libia si sarebbe dovuto votare la vigilia di Natale dello scorso anno.  Niente di fatto. Rinviato tutto sine die. Anche per questa ragione le Nazioni Unite hanno deciso di cambiare la rappresentanza di Unsmil, affidando a Bathily il compito di portare ordine.

Il futuro della Libia nel tour diplomatico di Bathily

Nell’ultimo mese Bathily ha viaggiato tra Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Tunisia, con l’obiettivo di trovare una soluzione che metta tutti d’accordo. A sbarrare la strada alla mediazione di Bathily ci sono le classi politiche delle due aree del paese che non riescono a mettere da parte le loro divergenze. Ma l’inviato delle Nazioni Unite ha perso la pazienza ed intende portare il paese alle elezioni al più presto possibile.  Nelle scorse settimane il presidente del parlamento di Tobruk Saleh e il leader della fratellanza musulmana Al Mishri ( a capo del Consiglio di Stato) avevano tracciato la strada per un possibile accordo. Ma tutto è sfumato per l’ennesima volta tanto da far sostenere al rappresentante Unsmil  di non ritenere più possibile che il “continuo disaccordo tra due singoli uomini, su un numero molto limitato di disposizioni della base costituzionale non può più servire come giustificazione per tenere in ostaggio un intero paese”.

Per questo, Bathily lancia un ultimatum: “se non si riesce a raggiungere rapidamente un accordo, possono e devono essere utilizzati meccanismi alternativi per alleviare le sofferenze causate da accordi politici provvisori obsoleti e indeterminati”. Un messaggio diretto sia a Saleh, sia al capo del governo di Tripoli, Dbeibah.

Un governo tecnico che porti il paese alle elezioni in tempi brevi

Bathily ha intenzione di portare la Libia al voto in tempi brevi: “il primo passo importante sulla via della legittimità, della sicurezza e della stabilità duratura è quello di offrire ai 2,8 milioni di libici registrati per votare l’opportunità di votare e di selezionare liberamente i futuri leader del loro paese per aprire una nuova era per la Libia, la sua vicini e della regione”.  Si dovrà procedere per step. Il primo passo è la creazione di un governo tecnico, con pochissimi punti nell’agenda di programma. Bathily è già al lavoro per individuare le persone che avranno il compito di guidare il nuovo esecutivo di transizione. In cima alla lista di Bathily ci sono i nomi di Muhammad El Muntasir e Ageila Elabbar, ricercatore universitario e diplomatico. Le due designazioni non si escludono a vicenda: una diarchia potrebbe essere la soluzione migliore per accompagnare la Libia a celebrare le tanto agognate elezioni.

Ageila Elabbar

L’Italia? Un ruolo defilato che comporta rischi altissimi

E cosa sta facendo l’Italia? Il nostro Paese ha il compito di svolgere un ruolo centrale in questa delicata fase di transizione. È anche una questione di sicurezza nazionale, perché garantire la stabilità in Libia è il primo passo per debellare il traffico di esseri umani. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, sono oltre 650mila i migranti bloccati in Libia che potrebbero decidere di attraversare il canale di Sicilia. Ma queste stime sono probabilmente lontane dalla realtà: in Africa centrale, come riportano le statistiche ufficiali delle agenzie non governative, ci sono almeno quattro milioni di migranti in marcia.

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