Sono state oltre 600 le persone che hanno affollato ieri sera l’atrio di Giurisprudenza a Palermo in occasione del convegno promosso da AntimafiaDuemila dal titolo ‘In che Stato è la mafia?’.

Ad intervenire, oltre al questore di Palermo, Renato Cortese, e al Comandante provinciale carabinieri Palermo Antonio Di Stasio, anche il pm Nino di Matteo, Giuseppe Lombardo, Gianfranco Donadio, Saverio Lodato, Antonio Ingroia, Salvatore Borsellino e Giorgio Bongiovanni. A moderare Maurizio Torrealta.

“Non inventeranno mai una bomba che uccida l’amore”. E’ così, agenda rossa in mano, che Salvatore Borsellino ha concluso l’incontro. “Venticinque anni – ha detto – sono passati da dalla strage di via d’Amelio, nata da complicità mafia-pezzo deviato Stato. Mio fratello è morto a 52 anni, così come il fratello di mio padre e mio padre”. Il fratello del giudice, nel suo intervento, ha letto la postfazione che ha scritto per il libro di Aaron Pettinari, “Quel terribile ’92” (curato da Pietro Orsatti ed edito da Imprimatur).
“Venticinque anni e non puoi più dimenticare – scrive in un passaggio – Perché tuo fratello è andato in guerra ma ad ucciderlo non è stato il fuoco del nemico che era andato a combattere, ma il fuoco di chi stava alle sue spalle, di chi avrebbe dovuto proteggerlo, di chi avrebbe dovuto combattere insieme a lui. Venticinque anni e non c’è tempo per piangere. Non è tempo di lacrime perché è solo tempo di combattere per la Verità e per la Giustizia, per quella Giustizia che viene invece irrisa, vilipesa, calpestata da un depistaggio durato per l’arco di ben tre processi”.
Ed infine ha concluso: “Venticinque anni e non so quanti anni ancora mi restano per obbedire al giuramento fatto a mia madre, ma una sola certezza: che il sogno di Paolo non morirà mai, perché era soltanto un sogno d’amore”.

“Siamo ancora orfani di verità” ha detto l’ex magistrato Antonio Ingroia. “Oggi, dopo 25 anni, siamo orfani non solo di Paolo Borsellino ma anche della verità” ecco perché “resistere senza cambiare idea è importante, ma non basta, perché dobbiamo soprattutto cambiare il corso delle cose” e per farlo “dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà”.
Alla luce delle ultime notizie di cronaca, Ingroia ha definito la fase attuale “quella del revisionismo in quanto al sistema criminale non basta che siano rimasti dei buchi neri” su stragi e delitti eccellenti, ma ora “i mafiosi cominciano a sperare che ci sia una revisione pronta per loro”. In riferimento alla decisione della Cassazione di dichiarare la condanna a Bruno Contrada per concorso esterno i associazione mafiosa, ineseguibile e improduttiva di effetti penali, Ingroia ha detto: “Se siamo arrivati a dire che il concorso esterno in associazione mafiosa è diventato un reato esistente chissà se si arriverà dire che anche l’associazione mafiosa è un reato inesistente e tornare all’epoca in cui non esisteva la mafia”. Una decisione che si basa sulla sentenza della Corte di Strasburgo, definita da Ingroia “una sentenza che nega la verità” perché “è falso che il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato di origine non giurisprudenziale!”

Sulla recente vicenda dell’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, “ci sono state da un lato falsificazioni e mistificazioni, dall’altra silenzio e opportunismo”. E’ il duro commento di Nino Di Matteo, pubblico ministero del processo trattativa Stato-mafia. “La Cassazione ha affermato che la pena già scontata da Contrada (per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) era ineseguibile” ma “la raffinata onda mediatica, partendo da presupposti falsi, vuole rappresentare la sua innocenza”. E, parallelamente, “nessuna delle alte cariche della magistratura sente il bisogno di spiegare all’opinione pubblica che non è in discussione il fatto” che “un funzionario di quel livello colludeva con la mafia”. “Questi comportamenti – ha ribadito Di Matteo – sono offese alla memoria dei nostri morti. Nessuno reagisce con la stessa forza” delle “prese di posizione su gravi episodi di statue dannegiate. Lì è facile reagire e prospettare l’idea di uno Stato che difende in maniera totale e omogenea la memoria dei nostri morti”. Il riferimento è all’atto vandalico dei giorni scorsi ai danni della statua di Falcone.
“Con la regia di menti raffinate e penne eleganti – ha spiegato Di Matteo – c’è una posizione negazionista che tenta di accreditare la tesi che i rapporti tra mafia e politica sono solo nella mente di magistrati politicizzati” unita alla “volontà di cancellare per sempre la stagione dei grandi processi sulle collusioni politico-istituzionali”.

“Per non tradire e calpestare la memoria di Borsellino – ha detto ancora Di Matteo – abbiamo davanti una sola strada, dura e tortuosa” ossia “pretendere il massimo sforzo da parte delle inchieste”, in particolare “dalla Procura nazionale antimafia e dalle Direzioni distrettuali di Caltanissetta, Firenze e Palermo” ma anche “pretendere e valutare l’opportunità di un’inchiesta politica da parte della Commissione parlamentare antimafia” e “la massima attenzione dell’opinione pubblica”. Senza dimenticare, ha concluso, l’esigenza di “lottare per evitare che continui la gerarchizzazione e la burocratizzazione delle nomine e delle cariche” nella magistratura.