“Nel ricordare i 33 anni dalla morte di Ninnì Cassarà, ucciso sotto gli occhi della moglie Laura, da un plotone di esecuzione di 18 uomini armati di ak47, ci sembra importante ricordare come quel numero spropositato di killer era legato al fatto che ognuna delle famiglie mafiose desiderava che un proprio picciotto partecipasse a quella morte”.

Lo afferma una nota dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia.

“Oltre 200 colpi per uccidere lui ed un giovane e bravissimo poliziotto come era Roberto Antiochia. Un ragazzo di 23 anni che anche se in ferie aveva deciso di essere vicino e di proteggere il suo capo, sempre più solo. Perché anche dopo 33 anni è fondamentale ricordare come Ninnì Cassarà rimase solo in quei giorni, dopo la morte di Beppe Montana. I motivi tanti: dai latitanti arrestati cercandoli a casa loro, dal rapporto 161+1 che fu alla base del maxi processo, dall’aver fatto i nomi dei fratelli Salvo in una aula di tribunale, per avere indagato su imprenditori e massoni. Troppo sbirro e troppo bravo per poter essere lasciato in vita”, prosegue la nota.

“Ma tra le pieghe degli eventi che hanno portato alla sua morte, c’è anche un’immagine che dobbiamo ricordare: è quella della moglie Laura, madre dei suoi tre figli, che lo vede morire dal balcone, che scende le scale disperata con la bimba di pochi mesi in braccio e che trova tutte le porte dei vicini sbarrate mentre invoca aiuto. Ricordiamoci di questo. Di come la mafia si nutra, più ancora che di sangue, di paura. Ricordiamocene per evitare che possa ripetersi ancora quella stagione”.

“Oggi, ricorre altresì l’anniversario della morte del Procuratore Capo di Palermo, Gaetano Costa, ucciso su ordine del capo mafia Salvatore Inzerillo nell’agosto del 1980, perché firmò i mandati di cattura a carico degli Spatola”, concludono i funzionari di polizia.