La Procura di Palermo ha disposto il fermo di due cittadini del Bangladesh, Moynul Hossain Md, 28 anni, e Zahid Ahmed, 29 anni, accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione. Avrebbero rapito un connazionale minorenne tenendolo prigioniero in casa loro e chiedendo ai suoi familiari un riscatto di cinquemila euro. L’inchiesta è stata coordinata dal Procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal pm Gaspare Spedale. A denunciare la vicenda è stata la vittima che all’epoca del sequestro, che risale al 2015, era minorenne.
Arrivato in Italia a 17 anni, sarebbe stato trattenuto dai due indagati per giorni e minacciato di morte. Solo il pagamento della somma da parte della sua famiglia gli ha permesso di tornare libero. Un amico che viveva in Grecia gli avrebbe dato il numero di un connazionale che viveva a Palermo: Zahid. Questi si sarebbe offerto di ospitarlo. Accettata l’offerta – ha raccontato agli inquirenti “siamo andati a circa 45 minuti fuori da Palermo, per strade di campagna ed all’arrivo in abitazione, Zahid mi ha subito chiesto 1500 euro che gli ho dato. Dopo due giorni che abitavo lì, lo stesso ha cominciato a minacciarmi dicendo che se non gli davo altri soldi, mi avrebbe tagliato. Allora io spaventato ho telefonato ai miei genitori in Bangladesh, i quali hanno portato 3000 euro circa al fratello di Zahid che abita in Bangladesh. In casa a Palermo abitavamo in tre. C’era il nipote di Zahid Moynul. Sono rimasto in quella casa per 10 giorni, senza riuscire a trovare un mio connazionale a cui chiedere aiuto e quando uscivo ero sempre accompagnato dai due”. Dalle indagini è emerso che il minorenne ha viaggiato per sei anni, quindi da quando era solo un bambino, per raggiungere l’Italia attraversando l’Oman, Dubai, l’Iran, la Turchia, la Grecia, la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria.
Il ragazzo ha raccontato la sua odissea verso l’Italia. “Sono partito da solo per raggiungere prima Dubai e poi l’Oman. Dall’Oman – ha detto – mi sono dovuto affidare a trafficanti pakistani per raggiungere l’Iran e lì sono stato affidato dai trafficanti pakistani a quelli bengalesi che avevano il compito di incassare il denaro necessario per consentire la mia liberazione e la successiva prosecuzione del viaggio” . In Iran il ragazzo avrebbe vissuto nella foreste insieme ad altri migranti in viaggio. “Tutti i trafficanti pakistani erano armati di pistole e ci sorvegliano – ha raccontato – Abbiamo raggiunto l’Iran attraversando il golfo di Oman a bordo di un gommone. Il viaggio è durato circa 10 ore, ed eravamo tanti, circa 50. Non è stato distribuito né cibo né acqua. Uno dei migranti è morto per il caldo e la mancanza di acqua. E’ stato anche picchiato proprio perché chiedeva dell’acqua. Non esistono persone più cattive dei pakistani”. Per poter continuare il viaggio il ragazzo ha dovuto pagare un riscatto ai trafficanti. “Mio padre ha pagato e mi hanno liberato. Quindi, per un certo periodo di tempo sono rimasto a Teheran a lavorare in una fabbrica per la produzione di plastica e dopo sono partito per la Turchia affidandomi ad altri trafficanti. Per questo ulteriore viaggio ho pagato circa 1.300 euro – ha spiegato – Sono rimasto in Turchia circa tre mesi, a Istanbul, dove ho lavorato in una fabbrica tessile. Quindi, affidandomi ad altri trafficanti mi sono imbarcato su un gommone per la Grecia, pagando altri 1.000 dollari. Non so quante persone c’erano a bordo: erano tante soprattutto bambini e donne siriani”.
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