Riappropriarsi della propria identità e recuperare lo spirito giuridico che avrebbe dovuto garantire alla Sicilia il più adeguato contesto socio economico. Il tema della autonomia della Regione Siciliana e del suo Statuto speciale, strumento giuridico – prima ancora che politico – pensato ancora prima della Costituzione della Repubblica e che di essa è parte integrante, è ormai divenuto inderogabile perché riguarda il presente e soprattutto il futuro dell’isola.
Anni di politica dissennata e poco aderente agli interessi dei siciliani hanno determinato un progressivo svuotamento di alcuni dei principi cardine di quello che può essere considerato l’unico vero patto tra lo Stato e la Regione.
“Non è più sopportabile – sostengono Angela Foti, Matteo Mangiacavallo, Elena Pagana, Valentina Palmeri e Sergio Tancredi, deputati di Attiva Sicilia all’Assemblea Regionale Siciliana – la menzogna che dipinge la Sicilia come una macchina mangia soldi dello Stato. Semmai è vero il contrario. Per anni siamo stati additati come coloro i quali prendevano a mani basse senza mai riuscire ad assicurare condizioni di vita simili a quelle del nord. Una bufala che ha visto complicità radicate per prime proprio in Sicilia, dove la carta dello Statuto è stata spesso giocata al ribasso e senza mai intaccare la sudditanza che di fatto ci ha sempre legato allo Stato. Complici di chi, per convenienza, della nostra autonomia se n’è sempre fregato, basti pensare, per esempio, alla questione della continuità territoriale, alle infrastrutture, ai trasporti. Oggi la Sicilia non può più permettersi questo trattamento. E’ il momento di voltare pagina”.
La questione del gettito fiscale sottratto alla Sicilia sotto forma di iva e Irpef diventa inderogabile. E lascia intendere come, sull’interpretazione parziale dello Statuto, lo Stato abbia ignorato per interesse le legittime aspettative siciliane.
“Perdere ogni anno oltre 7 miliardi di euro – continuano i deputati di Attiva Sicilia – significa non potersi consentire una programmazione che guardi al futuro della nostra terra, al pieno utilizzo delle nostre risorse naturali e professionali. Il fenomeno dei giovani che lasciano l’isola per costruirsi un futuro da altre parti è la conseguenza di tutto ciò. Se non siamo nella condizione di immaginare una Sicilia più moderna e al passo con i tempi, dalla formazione universitaria all’ingresso nel mondo del lavoro, possiamo solo alzare bandiera bianca. E non è questo che vogliamo”.
Fondamentale, ancor di più in un momento di recessione globale, potere utilizzare le proprie risorse per progettare quello scatto in avanti atteso da diverse generazioni.
“La Sicilia che vogliamo è quella che resta isola senza essere isolata, che possa dialogare con il resto del Paese e con l’Europa a pari condizioni con le regioni del centro-nord e che superi il paradosso che per arrivare da una parte all’altra della regione necessiti di una programmazione temporale pari ad un viaggio continentale. Vogliamo una Sicilia che, in termini di modernità nel campo dell’istruzione, sia capace di offrire adeguate opportunità. Così da interrompere questa catena di viaggi della speranza verso il nord. E non usiamo a caso questa espressione prima soltanto riferita alle questioni sanitarie. Se per sopravvivere devi andare via il senso equivale. Vogliamo che la Sicilia produttiva e quella delle start up possano essere sempre più competitive e che abbiano un impatto più significativo nell’economia nazionale e sull’occupazione siciliana. E per fare tutto ciò non vogliamo più presentarci a Roma con il cappello in mano a raccogliere le briciole, ma pretendiamo che siano riconosciuti sino in fondo i nostri diritti. Niente altro che questo, diritti che sono stati calpestati anche grazie all’insipienza della classe politica siciliana. Oggi, in un momento di grande incertezza sociale ed economica che attraversa tutto il Paese, è irrimandabile la questione della piena applicazione dello Statuto Siciliano. In ballo c’è il nostro presente e il futuro dei nostri figli. Dobbiamo decidere, prima di tutto in Sicilia, se continuare a essere sudditi o cominciare a essere popolo”
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