Quasi 18 anni di carcere in due, è questa la pena inflitta in abbreviato per il caso del voto di scambio che travolse l’italo americano Salvatore Ferrigno, originario di Carini. Ad essere condannati i due collaboratori di Ferrigno, il boss Giuseppe Lo Duca del gruppo di fuoco del clan di Carini. Con lui Piera Loiacono, ex assessore comunale, ritenuta il trait d’union tra la cosca e il candidato. Al primo sono stati inflitti 11 anni, un mese e 10 giorni di carcere mentre alla donna 6 anni e mezzo. Ferrigno, il principale imputato, ha scelto il rito ordinario e quindi sta affrontando un altro processo.

Gli arresti alla vigilia delle elezioni regionali

Ferrigno e i suoi collaboratori vennero arrestati nel settembre scorso, alla vigilia delle elezioni regionali. L’italo americano era candidato all’Ars con i Popolari e Autonomisti dell’ex governatore Raffaele Lombardo, la lista che sosteneva il candidato del centrodestra alla Presidenza della Regione Renato Schifani che poi venne eletto. L’accusa per lui era di scambio elettorale politico-mafioso.

Le intercettazioni

E’ intercettando Lo Duca, nel mirino degli inquirenti perché ritenuto boss, che si arriva alla Loiacono e a Ferrigno. “Piera io posso corrispondere al momento di tre al massimo quattro paesi e basta e sono: Carini, Torretta, Cinisi e Terrasini”. Questo diceva il mafioso alla Loiacono impegnandosi a procurare voti al candidato. La donna, anche lei finita in cella viene descritta dal gip come una persona “intrisa di una sconcertante cultura mafiosa”. Nel contrattare la somma da riscuotere in ogni paese per il sostengo elettorale il boss ci teneva a mettere le cose in chiaro: “Gli dici (a Ferrigno ndr) che avendo una persona che già ci siamo capiti pure chi è, avendo questa amicizia, non meno di cinque (5mila euro, ndr) a paese. A ogni paese gli devo lasciare la metà”.

Introiti economici e fondi europei

“La spartizione della somma con ciascun rappresentante di Cosa nostra di ogni paese – scriveva il gip nel provvedimento di arresto la cui tesi ha retto in aula – era necessaria al fine di garantire un introito economico all’articolazione mafiosa che si sarebbe dovuta mobilitare e di assicurare il dovuto riconoscimento ai mafiosi di quei comuni”. Ma non di soli soldi si trattava. Dall’indagine, che racconta di una vera e propria “trattativa” tra il politico e il mafioso per il tramite della donna, emerge che sul piatto le parti avevano messo anche i fondi europei. “Appena ci vediamo ti spiego alcuni progetti che ci possono cambiare completamente perché si deve parlare di soldi grossi, di progetti”, dice, non sapendo di essere intercettato, Ferrigno. Il candidato, sempre in una intercettazione, spiega: “Io non cerco di comprare i voti perché i miei collaboratori li metto in società con me”.

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