Va in appello la sentenza di condanna nei confronti di un ex funzionario del cimitero di Carini, nel palermitano, per un presunto caso di corruzione relativamente alla costruzione di una cappella gentilizia. Salvatore Randazzo fu condannato nel febbraio dello scorso anno a 6 anni di reclusione per peculato continuato, corruzione e falso ideologico. Con lui anche  il titolare di una ditta edile, Giovan Battista Di Maio, che ebbe invece 4 anni; assolta Rosalia Cusumano per non aver commesso il fatto. Così si è pronunciata la terza sezione penale del tribunale di Palermo riguardo ad uno dei tanti casi di malaffare che investirono il cimitero di Carini e che confluì in un’indagine dei carabinieri che portò alla denuncia dei tre nel 2014.

Il ricorso alla sentenza

Randazzo, tramite i suoi legali, ha deciso di impugnare la sentenza di primo grado con cui oltretutto è stato chiamato al risarcimento del danno nei confronti del Comune che si era costituito parte civile. In virtù proprio di questo appello il municipio, per volontà espressa dal sindaco Giovì Monteleone, ha deciso di resistere in giudizio. Ha quindi nominato l’avvocato comunale, Marina Fonti, per la difesa delle regioni dell’ente.

La vicenda

Randazzo in concorso con Di Maio, secondo quanto emerso nel corso del dibattimento di primo grado, intascarono 4 mila euro che la Cusumano aveva liquidato per la costruzione di una cappella gentilizia all’interno del cimitero. Cappella che però non vide mai la luce, così come mai il Comune nelle sue casse vide trasferire quei 4 mila euro. Nel corso del processo è venuto fuori come all’epoca fosse molto confusa la contabilità tenuta proprio per gli incassi relativi ai servizi cimiteriali. Dalla ricostruzione dei fatti è emerso che la donna si fosse rivolta a Di Maio, in quanto titolare di una storica ditta edile che effettuava vari lavori all’interno del camposanto carinese, per costruire questa cappella gentilizia.

La “scrittura privata”

Struttura che era stata pensata per permettere la tumulazione del marito dell’imputata e per riservare altri posti per future sepolture destinate ai congiunti più stretti. Ad essere tracciati 4 mila euro che materialmente la donna sborsò. Di Maio si mise in contatto con Randazzo e qui si materializzò, secondo le prime ipotesi, il reato: alla Cusumano venne fatto firmare un presunto documento falso, una sorta di scrittura privata su cui vi era l’accordo tra l’imprenditore e l’impiegato comunale per quella concessione di costruzione che in realtà mai era stata effettivamente rilasciata dal Comune. Ecco perchè finì indagata la stessa donna che poi venne totalmente scagionata.

Come partì l’inchiesta

L’inchiesta partì sulla scorta di una serie di segnalazioni da parte dei cittadini che ravvisarono strani movimenti all’interno del camposanto: in alcuni casi emersero arbitrari spostamenti di loculi, quindi con presunte tumulazioni ed estumulazioni illegittime effettuate in complicità tra Di Maio e Randazzo. In corso processi sempre a carico dei due per altre vicende relative proprio a gestioni illegali dei servizi cimiteriali.

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