Emergono storie agghiaccianti attorno agli immigrati sfruttati tra Palermo e il Trapanese finito al centro di un’inchiesta sfociata con i 5 arresti di questa mattina. “La paga era di 400 euro al mese. Per quante ore non veniva mai specificato. Lavoravano 10, 12 ore di fila. E se chiedevano i nostri diritti e le tutele venivamo cacciate via ed espulse dalla chat di WhatsApp nella quale il datore di lavoro ci diceva ogni mattina dove andare a pulire”. E’ il racconto di una delle venti schiave del pulito, termine tratto da un dossier della Cgil, fatto prima alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Trapani e poi agli agenti della squadra mobile di Palermo diretta da Marco Basile. Il modo di agire era sempre lo stesso.

Soggetti vulnerabili scelti appositamente

“Nel contesto palermitano che rende il fenomeno ancora più grave e odioso è che i lavoratori da sfruttare – si legge nell’ordinanza del gip Annalisa Tesoriere – sono stati individuati tra i migranti ospitati nel centro di accoglienza che proprio per la loro condizioni di stranieri irregolari si trovano in situazioni di particolare vulnerabilità”. Il meccanismo era semplice quanto mai terribile per le donne che finivano in questo girone dantesco. Alberghi, B&B e le strutture ricettive cercano in tutti i modi di ridurre i costi. Risparmiare è la parola d’ordine. Meno personale e servizi appaltati all’esterno. E così per le pulizie e non solo si affidano ad agenzie interinali e cooperative che offrono prezzi concorrenziali aggirando i contratti nazionali sulle spalle dei lavoratori.

“Ordinari” e straordinari mai pagati

Ore e ore di lavoro in più rispetto a quanto pattuito e ai soldi, pochi, che venivano consegnati alle lavoratrici. Le strutture finite nell’inchiesta sono il consorzio Stabile Diadema, e i centri di accoglienza “La mano di Francesco” di Roccamena, “Donne Nuove” di Palermo e “Opera Pia Riccobono” di San Giuseppe Jato. Gli agenti della squadra mobile hanno arrestato e portato ai domiciliari Francesco Centino, 42 anni, che avrebbe costituito il consorzio Diadema. Luca Fortunato Cardella, 31 anni, presidente della cooperativa Eco Group società consorziata con la Diadema, Kuyode Johnson Newworld Adeteye nato in Kenia, 42 anni, presidente della cooperativa Ecoworld, Monica Torregrossa, 45 anni, responsabile del centro di accoglienza “La Mano di Francesco”, di Roccamena, Lamia Tebourbi, nata in Tunisia, 55 anni, responsabile del centro di accoglienza “Donne Nuove” di Palermo.

Le accuse

Sono accusati di associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita ed allo sfruttamento lavorativo, nonché truffa ed estorsione, con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni dello Stato e con l’abuso di relazioni di prestazioni d’opera. Le storie sono molto simili fatte di ricatti e abusi. “Per una settimana mi faceva dormire su una sedia in una veranda del secondo piano – racconta un uomo assunto come guardiano di un grande albergo a Castelvetrano –. Non avevo la possibilità di fare una doccia. Mi lamentavo al telefono con mister Johnsy, che dopo cinque giorni veniva a Castelvetrano, ma la situazione non cambiava. Al termine di tre mesi mister Johnsy mi diceva che il lavoro per me era terminato, senza che mi pagasse. Mi avevano promesso 600 euro al mese. Ma niente, mister Johnsy mi diceva che non dipendeva da lui ma dal suo capo Luca, un palermitano che ho incontrato successivamente”.

La smentita dell’Opera Pia Riccobono

Rispetto all’Opera Pia Riccobono, citata nell’ordinanza del gip, da San Giuseppe Jato arriva, però, una nota che riportiamo integralmente e nella quale si legge: “L’Ipab Opera Pia Riccobono di San Giuseppe Jato è totalmente estranea ai fatti ed in nessun modo risulta coinvolta nell’inchiesta non avendo mai gestito centri di accoglienza, né tantomeno con ospiti donne”.

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