Tanti commercianti nella zona di Ciaculli, Brancaccio e Roccella pagavano il pizzo. Le estorsioni erano eseguite a tappeto. Cinquanta sono state ricostruite altre 50 sono state accertate. L’unico problema per i negozianti era non finire sul libro mastro.

Era il 3 febbraio del 2020 quanto il titolare di un panificio parla con Maurizio Di Fede, uno dei fermati nell’operazione della scorsa della squadra mobile. Il titolare del negozio chiede a Di Fede “di non fare scrivere nel libro” cioè nella lista dei commercianti che pagano il pizzo; la conferma viene dallo stesso Di Fede che tranquillizza la sua vittima in merito al fatto che lui non è solito lasciare tracce scritte del suo passaggio presso i commercianti estorti.

“Solo questo – dice la vittima – poi il resto non me ne fotte un cazzo quello che…” e Di Fede cosciente del fatto che un elenco degli estorti, qualora scoperto dagli organi investigativi, potrebbe causare “fastidi” anche alle vittime ivi elencate, ribadisce al commerciante che quando lui si reca presso i commercianti compreso il macellaio, “pezzi di carta non ce n’è”.

Del resto il pizzo, soprattutto in un periodo di crisi anche per la mafia rappresenta un introito importante per il sostentamento delle famiglie dei carcerati. Tanto come emerge da questa operazione in alcune zone come Brancaccio, Ciaculli, Roccella i commercianti pagano senza denunciare.

Nessuna delle estorsioni ricostruite è stata denunciata. E che il pizzo sia una voce importante emerge anche dagli incontri avvenuti in passato ad esempio tra Francesco Colletti, capomafia di Villabate e Michele Greco quando quest’ultimo prima di essere arrestato voleva ridisegnare i confini tra il mandamento di Villabate e Ciaculli soprattutto quando in quella zona si sono installati importanti società di spedizioni.

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