Negli ultimi 25 anni, la riduzione degli occupati, come conseguenza della perdita di popolazione (soprattutto giovanile, -1,6 milioni), e i deficit di lungo corso – in particolare eccesso di burocrazia, illegalità diffusa, carenze infrastrutturali e minore qualità del capitale umano – hanno, di fatto, determinato un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del Paese. Questi i principali elementi che emergono da un’analisi dell’ufficio studi Confcommercio su economia e occupazione al Sud dal 1995 ad oggi. Ad emergere anche un dato siciliano: la scarsa incidenza della spesa degli stranieri rispetto al panorama nazionale. E questo avveniva anche prima della crisi covid. Una bestemmia considerando il fatto che la Sicilia, con le sue risorse naturali e i beni culturali, dovrebbe attrarre al contrario la fetta più consistente del turismo a livello nazionale (e non solo).

Spesa molto limitata degli stranieri

L’unico capitolo con dati differenziati per regioni in questo studio è proprio quello dedicato all’incidenza della spesa degli stranieri sui consumi interni nelle macro-ripartizioni e nelle regioni del Sud. Ebbene, emerge che in Sicilia questa incidenza ha pesato appena per il 2,8% rispetto a livello nazionale nel 2019, quindi in era pre-covid. In pratica la Sicilia è riuscita appena ad andare oltre la media del sud (2,3), ma è rimasta nettamente al di sotto delle regioni del centro, nord-est e nord-ovest, rispettivamente al 5,8, al 5,1 e al 3,7%.

Il sud un disastro

Tra il 1995 e il 2020 il peso percentuale della ricchezza prodotta dal sud sul totale italiano si è ridotto passando da poco più del 24 al 22%, mentre il Pil pro capite è sempre rimasto intorno alla metà di quello del Nord e nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro contro 34.300 euro nel Nord-Ovest e 32.900 euro nel Nord-Est; tuttavia, nel 2020, l’impatto della crisi da Covid-19 al Sud è stato più contenuto rispetto alle altre aree del Paese che hanno patito maggiormente il blocco delle attività produttive durante la pandemia (Pil -8,4% contro il -9,1% al Nord rispetto al 2019); ma la fragilità dell’economia meridionale emerge anche dalle dinamiche del mercato del lavoro che, tra il 1995 e il 2019, ha registrato una crescita dell’occupazione 4 volte inferiore alla media nazionale (4,1% contro il 16,4%), con distanze ancora maggiori rispetto alle regioni del Centro e del Nord; nemmeno la particolare vocazione turistica delle regioni meridionali sembrerebbe essere di aiuto a spingere l’economia di quest’area, visto che, anche rispetto a un un anno “normale” come il 2019, i consumi dei turisti stranieri al Sud sono risultati molto inferiori di quanto speso nelle regioni del Centro e del Nord-Est.

Cosa incide

Sul tema della produttività vale la pena di limitarsi alle diverse e recenti evidenze empiriche che identificano nella burocrazia, nella micro-illegalità diffusa, nell’accessibilità insufficiente e nella comparativamente minore qualità del capitale umano, le spiegazioni di un fenomeno strutturale che comprime il prodotto pro capite in modo permanente. Se nel Sud questi difetti fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% alla fine dell’aggiustamento di lungo periodo, rispetto a uno scenario senza interventi. Un divario che si è acuito almeno a partire dalla crisi del 2008: il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,53. “Non si può invocare, a parziale correzione di queste evidenze, – precisa l’ufficio studi Confcommercio – un differente livello dei prezzi tra regioni. A queste differenze si contrapporrebbero, con effetto dominante, le difficoltà di accesso e fruizione di molti servizi pubblici di base”.

“Ridurre i difetti strutturali”

“In generale, la tendenza delle politiche per il riequilibrio territoriale dovrebbe, a nostro avviso, – si legge nello studio – passare da un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione di ogni ordine e grado, con ampio intervento su formazione e trasformazione continua delle abilità e delle competenze e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità – dai trasporti alla banda larga – che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese e, soprattutto, con l’Europa. La riduzione di questi deficit aumenterebbe il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche provenienti dall’estero”.

Tanti emigrati e potenzialità perse

La questione dell’occupazione, collegata alla popolazione residente, è altrettanto importante sempre secondo Confcommercio. Non deve sfuggire, in ogni caso, che il tema della produttività, quello delle condizioni economiche e sociali di vita e, infine, quello della scelta di risiedere o piuttosto di emigrare, sono strettamente collegati. Si ha immediata conferma della riduzione del peso del Sud in termini di popolazione (dal 36,3% al 33,8%). Ben più grave è la questione della popolazione giovane. L’Italia nel complesso perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni. Tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo: rispetto al 1995, mancano nel Sud oltre 1,6 milioni di giovani. In queste condizioni ed estrapolando questi trend, anche l’eventuale e improbabile rapida risoluzione del problema della produttività potrebbe risultare insufficiente a migliorare il processo di costruzione di benessere economico e sociale del nostro Mezzogiorno, almeno in termini aggregati.

Le altre nazioni ringraziano

L’investimento in istruzione sui giovani italiani, piccolo o grande che sia, contribuisce prospetticamente a incrementare il Pil di altre nazioni. L’impatto negativo dei summenzionati fattori è evidente nella configurazione dei principali elementi del mercato del lavoro. Al di là del più elevato tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e dei più bassi tassi di partecipazione, soprattutto femminile, al mercato del lavoro, emerge tutta la fragilità dell’economia delle regioni del Sud semplicemente dalla lettura della variazione degli occupati totali: a fronte di una crescita del 16,4% delle unità standard di lavoro per l’Italia, nei quasi cinque lustri considerati, l’occupazione del Sud cresce di poco più di quattro punti.

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