“Abbiamo preso atto dell’ultima sentenza della Consulta ma si tratta di un atto che non produce alcuna ripercussione negativa sull’equilibrio e la stabilità dei conti regionali. Siamo determinati a proseguire nel percorso di riordino finanziario dell’ente e di proficua collaborazione con tutti gli organi dello Stato, anche nell’ottica di ridurre sempre più i contenziosi in sede costituzionale e accrescere la credibilità della nostra Regione”. Così il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, commentando il contenuto della sentenza 165/2023 sull’illegittimità della clausola di salvaguardia contenuta nelle Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2020 e per il triennio 2020-2022.
Falcone “Accogliamo con serenità giudizio della Corte”
“Possiamo accogliere con serenità l’autorevole giudizio della Corte – dice l’assessore all’Economia Marco Falcone – poiché la norma impugnata era già stata abrogata dal legislatore regionale lo scorso dicembre. Si trattava, infatti, di una clausola di salvaguardia del valore di 421 milioni, maturata nel 2020 nell’ambito delle misure di recupero del disavanzo aggiuntivo della Regione rilevato nel 2018. L’utilizzo di tali fondi sarebbe scattato qualora l’iter legislativo del piano di rientro decennale, pattuito fra Stato e Regione, non si fosse completato. La norma era stata impugnata dal Consiglio dei ministri per la genericità con cui si individuavano le coperture della clausola. Oggi, tuttavia, parliamo di una norma superata, la cui abrogazione era stata anche caldeggiata dal Ministero delle Finanze già nei mesi scorsi”, conclude Falcone.
La sentenza della Consulta
La Consulta ha dichiarato con sentenza del 4 luglio l’illegittimità di un’intera legge: la numero 33 del 28 dicembre 2020, le Variazioni al bilancio di previsione della Regione. La legge, approvata in piena era Musumeci, si portava dietro nel nome anche le “modifiche di norme in materia di stabilizzazione del personale precario”. Norme che, come ricorda la Consulta, fissarono “molteplici interventi di natura eterogenea”: in altri termini, nuove spese.
Il nodo delle coperture
L’impugnativa decisa dall’allora governo Draghi ruotava attorno alla presunta violazione dell’articolo 81 della Costituzione. È quella parte del dettato costituzionale che sancisce il principio dell’annualità del bilancio e che introduce l’obbligo di copertura per ogni legge di spesa. Le norme approvate dall’Ars liberarono 421 milioni di euro coprendo le spese con il differimento della quota 2020 di recupero del disavanzo della Regione. Tutto questo facendo affidamento su un accordo con lo Stato che, però, sarebbe arrivato soltanto nel gennaio 2021 e che comunque si concretizzò “in modo diverso – ricordano i giudici della Consulta con la sentenza numero 165 di quest’anno – da quello prefigurato dalla Regione”.
La procedura che portò a quella mossa, secondo la tesi di Palazzo Chigi sposata in pieno dalla Corte costituzionale, non fu legittima perché basata su un accordo, di fatto, non ancora esistente. “Tale previsione, proprio per il suo carattere aleatorio, non poteva costituire la base di una valida e certa copertura della spesa”, sentenziano i giudici.
La copertura finanziaria prevista per quei 421 milioni, quindi, viene considerata “non idonea” perché al momento dell’approvazione delle Variazioni di bilancio l’accordo vigente Stato-Regione prevedeva ancora la rata 2020 per il rientro dal disavanzo. Leso, in definitiva, il principio secondo il quale “la copertura finanziaria delle spese deve essere certa ed attuale e tradotta in un formale impegno di spesa sul relativo stanziamento”. La Regione, davanti alla Corte, ha ricordato di essere corsa ai ripari già con il ddl Esercizio provvisorio per l’esercizio finanziario 2021. I tagli e le variazioni agli stanziamenti del bilancio 2020, però, non soddisfano l’Avvocatura dello Stato. Sono avvenuti, infatti, “ad esercizio finanziario 2020 ormai concluso” e quindi in contrasto “con il principio dell’annualità del bilancio”.
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