“La Barbera non sapeva nulla di mafia”

Bruno Contrada appare anziano e stanco, ma la sua  parlantina non è mai doma. Questa la sua dichiarazione clou nel corso dell’audizione  in commissione antimafia all’Ars: “Se avessi interrogato io Scarantino mi sarei accorto delle sue bugie in 24 ore, io non ho mai avuto niente a che fare con Scarantino. Non ho mai fatto indagini su di lui. Ho saputo soltanto una cosa su di lui: era un parente di un mafioso della Guadagna e aveva una labilissima parentela con la famiglia Madonia. Ha raccontato cialtronerie, fandonie, quando ha iniziato a fare le sue dichiarazioni, io già da molti mesi ero nelle carceri militari”. E’ la dichiarazione di Bruno Contrada sul profilo criminale del personaggio chiave del depistaggio di Via D’Amelio. Contrada ha reso la sua testimonianza oggi nel corso dell’audizione della Commissione Antimafia, presieduta da Claudio Fava.

Anche il presidente Claudio Fava è stupito. E chiede all’ex dirigente del Sisde come mai investigatori e magistrati esperti, come Arnaldo La Barbera, siano caduti in quella trappola.

Un gruppo antimafia senza esperienza

“Quando ho letti i  nomi dei 25 componenti del gruppo Falcone Borsellino guidato da La Barbera mi sono chiesto – continua Contrada – ma questi che esperienza hanno nella lotta alla mafia? Come si fa a dare un’indagine sulle stragi  di Capaci e Via d’Amelio a gente che non aveva esperienza della Sicilia. La Barbera sarà stato un ottimo funzionario di polizia, ma ha fatto servizio sempre al Nord. Quando è arrivato a Palermo non sapeva niente di mafia, questa è la verità. Mia madre ne sapeva di più di lui “.

Sviste, superficialità o altro?

Il quadro che emerge dalla deposizione di Contrada si può riepilogare così, dalle parole di Fava: dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la procura di Caltanissetta viene affidata a Giovanni Tinebra, che ammette di non conoscere per nulla la mafia palermitana, mentre il gruppo investigativo Falcone e Borsellino viene infarcito da La Barbera con funzionari e dirigenti, anche loro asciutti della materia.  Fava si chiede “Si tratta di sviste, superficialità o c’è altro?”

L’anziano investigatore non si nasconde ed ammette che l’intero sistema, ai quei tempi, si connotava per  “impreparazione generale. Anche al Sisde. Tranne e purtroppo per me, pochi conoscevano la mafia, e se non contiamo qualche vecchio sottoufficiale che stava per andare in pensione, anche il servizio segreto civile era zero assoluto in conoscenza della mafia e della Sicilia”.

Contrada: non un agente segreto, sempre stato un poliziotto

Contrada aveva iniziato la sua deposizione chiedendo un paio di minuti per spiegare le sue ragioni : “Non devo accusare o difendere nessuno. Arrivato all’età di 90 anni credo che un uomo non possa più mentire, semmai abbia mentito”. Rivendica di non essere mai stato un agente segreto o una spia: “sono stato un dirigente della Polizia di Stato aggregato al servizio segreto civile”.

I desideri di Don Vincenzo Parisi

Dopo la strage di via D’Amelio, gli verrà chiesto di collaborare con la Procura di Caltanissetta. Ecco come avvenne. Con una telefonata il 20 luglio del 1992 mattina.  “Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, per la strage accaduta, per la strage Borsellino”.  Inizia così la “collaborazione” di Bruno Contrada, ex dirigente del Sisde e dirigente della Polizia di Stato, con la Procura della Repubblica di Caltanissetta, guidata allora da Giovanni Tinebra. E’ la mattina del 20 luglio del 1992. La voragine dell’esplosione d via D’Amelio sta ancora fumando. Contrada, ai tempi numero 3 del servizio segreto civile,  riceve una telefonata. Al telefono c’è Sergio Costa, un commissario della Polizia di Stato aggregato al Sisde. Costa ha sposato la figlia del capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi. E’ lui Don Vincenzo.  “Costa mi disse che era un desiderio di Parisi che io incontrassi Tinebra. Io non avrei mai fatto una cosa così. La questione non rientrava nell’ambito della mia competenza”. Ma Contrada fa quella telefonata e nel pomeriggio della stessa giornata  incontrerà Tinebra al palazzo di Giustizia di Palermo.

La confessione di Tinebra: all’oscuro sulla mafia di Palermo

“Tinebra mi disse : sono in grosse difficoltà, perché di mafia palermitana sono completamente all’oscuro. Non so niente. In questi pochi giorni che sono stato a Caltanissetta mi sono reso conto che si sta organizzando la Dia. Il suo capo (Parisi, ndr) mi ha detto che lei è uno dei funzionari più preparati sulla mafia” è il racconto di Contrada. “Tinebra chiese se avessi potuto dare una mano alle indagini su questo fatto gravissimo. Ero rimasto particolarmente colpito dalla strage. Stimavo moltissimo Borsellino, anche se non avevamo un rapporto molto stretto. Non ho mai detto di essere amico di Borsellino, ma avevamo ottimi rapporti professionali”.

Al procuratore di Caltanissetta, Contrada dirà di essere a disposizione, facendo tuttavia presente di non poter svolgere indagini. Giorni frenetici, il dirigente del Sisde chiede di ottenere il placet dai suoi superiori e, una volta ottenuta, inizia una serie di incontri a livello informativo.”Non volevo che il mio interveno potesse intralciare attività della Pg – spiega Contrada – per questo motivo presi contatto con Arnaldo La Barbera, lo invitai al centro Sisde per parlare. Poi parlai con il generale Subranni – eravamo anche amici – che comandava il reparto operativo dei Carabinieri. Subranni mi disse che a Palermo se ne occupava il Maggiore Obinu“.

La Barbera non sarà contento del gruppo di lavoro creato dal numero 3 del Sisde. Non ci saranno dissidi, ma una grande freddezza.  Contrada ricostruisce poi il momento in cui viene fuori il nome di Vincenzo Scarantino. “Tinebra fece una richiesta scritta per avere una nota informativa sugli agganci, i rapporti, le relazioni di Vincenzo Scarantino, che non era ancora un pentito. Il direttore del centro, il colonnello Ruggeri, disse  di non poterlo fare perché non autorizzato e si rivolse al Servizio per sapere cosa fare. C’erano due cose da riferire, era parente di Profeta e poi c’era un labilissimo rapporto con i Madonia. Quando La Barbera dice che non abbiamo dato un contributo alle indagini dice la verità perché io non potevo fare indagini. Se non posso fare indagini che contributo posso dare?”.

 

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