“Non ci sentiamo obbligati ad accantonare gli 866 milioni. Il pronunciamento della Corte dei conti non è paralizzante”. Ad affermarlo è l’assessore all’economia, Marco Falcone, parlando con i giornalisti al termine della lettura della sentenza della Corte dei conti sulla parifica del bilancio 2020. “Non ci sarà bisogno di riscrivere la manovra – ha sottolineato Falcone – prendiamo atto della pronuncia della Corte dei conti: questo comporta la sospensione del giudizio ma la questione di legittimità è stata sollevata soprattutto nei confronti di una norma nazionale. Ecco perchè dovremo interfacciarci con il governo nazionale, con il Mef e il Parlamento a cui chiederemo una norma interpretativa che dia ragione alla Regione siciliana”. E’ intenzione del governo ragionale, ha aggiunto Falcone, “intraprendere delle interlocuzioni con l’esecutivo Meloni già a partire da lunedì prossimo”.

La sentenza

La Sezione riunite della Corte dei Conti ha sospeso il giudizio di parificazione del rendiconto della Regione per il 2020 contestando numerose irregolarità nel conto economico e nel conto patrimoniale oltre che il risultato di amministrazione e ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale del ripiano del disavanzo di 2,2 miliardi che era stato spalmato in dieci esercizi finanziari mentre per i giudici andava fatto in tre anni. Il governo Schifani, in sostanza, dovrebbe accantonare già nel prossimo bilancio 866 milioni di euro in attesa del pronunciamento della Consulta.

Il pronunciamento dei giudici è più pesante rispetto alla richiesta che aveva fatto la Procura della Corte dei conti, che aveva proposto il via libera al bilancio consolidato 2020 senza le parti che riguardavano il ripianamento del disavanzo, il conto economico e quello patrimoniale oltre a una trentina di partite contabili contestate nei capitoli di entrata, di spesa e dei residui attivi e passivi.

Il deficit

La partita più consistente riguarda il deficit. Per i giudici la Regione doveva spalmare il disavanzo in tre anni e non in
dieci, come ha fatto, per due motivi: non si poteva fare con un decreto legislativo ma serviva una legge e comunque il provvedimento è stato fatto prima che fosse approvato lo stesso decreto legislativo. Sulla questione la palla passa alla Corte Costituzionale.

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