Avete mai visto qualcuno costruire un palazzo cominciando dal tetto? No, ovviamente no. E’ quello che sta accadendo con la tanto discussa APP per il tracciamento dei contagi in Italia. Io non sono contrario per principio alla naturale evoluzione “digitale” della nostra società. Anzi, sono convinto che sia l’unica, reale strada percorribile per il nostro futuro sociale ed economico, a patto che al centro di tutto resti sempre l’individuo.

Non metto in discussione le qualità intrinseche del progetto della APP. Quello che proprio non regge, anzi non esiste, è il contesto. Forzare la mano affinché i cittadini utilizzino questa APP, non solo è quasi certamente inutile ai fini dell’evitare il contagio ma è anche troppo frettoloso, talmente frettoloso che puzza un po’ di bruciato. Fin qui, le mie dichiarazioni di principio. Ma perché – e non a mio giudizio, ma sul piano oggettivo – quel tipo di APP non funziona. Ecco, in ordine sparso, i motivi del mio inoppugnabile rifiuto.

Qualsiasi APP per il tracciamento del contagio può funzionare soltanto a condizione che venga istallata da almeno il 60 per cento dei cittadini dell’area da monitorare e che sia possibile avere la stima reale dei contagi già diffusi. Qui, come diceva Sciascia, casca clamorosamente l’asino. Noi sappiamo per certo che non esiste alcun dato reale sulla diffusione del Covid in Italia: quindi, rispetto a quale campione di riferimento la APP dovrebbe processare i dati del contagio per segnalare il pericolo? Quelli dell’ISS, quelli della Protezione Civile? Sono sottostimati. Quindi, anche sul mero piano del calcolo, la capacità di una APP di segnalare il rischio di un contatto “contagioso” è limitata ai dati ufficiali. Quindi, ogni Big data che si basi su quel tipo di valutazione, ha una portata limitata e direttamente proporzionale al numero di casi segnalati. Ovvero, il sistema oggi, nella migliore delle ipotesi, lavorerebbe a un decimo del suo potenziale. Qualcuno potrebbe obiettare, “meglio che niente?” Se le cose stanno così, io dico meglio niente. Perché non si può barattare la propria privacy in cambio di una percentuale così bassa di riduzione del rischio.

Seconda considerazione. Mettiamo per ipotesi che grazie ad un lampo di genio, il nostro sistema sanitario riuscisse a censire tutti i contagiati Covid. Anche in questo caso, non accetterei di utilizzare quella APP. Per il semplice fatto che il contact tracking è una cosa seria. Mi spiego: tutti i dati raccolti comportano una reazione dal parte del sistema sanitario. Quindi, se io dovessi ricevere l’alert che mi segnala il fatto che sono entrato in contatto con un soggetto positivo al Covid, la reazione minima del sistema pubblico dovrebbe essere: contattarmi, sottopormi al tampone e garantirmi adeguata assistenza.

C’è bisogno che vi spieghi perché siamo di fronte all’ennesima fake news istituzionale? La cronaca è piena zeppa di storie che raccontano odissea di persone malate, chiuse a casa in attesa di soccorso. Settimane e settimane per ricevere i risultati. Quindi, oggi come oggi, ogni APP è assolutamente inutile. Perché il problema è altrove. Di fatti, le nazioni in cui il contact tracking ha funzionato nel circoscrivere la diffusione del contagio, si contraddistinguono per una capacità – a noi sconosciuta – di processare tamponi ed assistere i malati, a distanza o in ospedale.

Quindi, caro Presidente Conte, prima di somministrarci una APP, sia sicuro di poter garantire a tutti i cittadini programmi sierologici di controllo, mettere la sanità pubblica in condizione di processare tamponi su tamponi (manca il personale, mancano i reagenti). Faccia questo, costruisca i pilastri della casa per la salute pubblica contro il virus. Poi magari, quella APP, qualsiasi essa sia, la utilizzerò anche io.

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