I franchi tiratori sono tornati! Insieme ad una opposizione non pervenuta da tempo ma all’improvviso rediviva, subito prima di Pasqua, hanno bocciato, a scrutinio segreto, un emendamento governativo che puntava ad aumentare gli stipendi non degli interi consigli di amministrazione ma dei soli presidenti o amministratori delegati (a seconda degli statuti) delle aziende partecipate regionali.
Maggioranza battuta a voto segreto
Dai banchi di sinistra è partita la bordata: nel segreto dell’urna passata 39 a 16 l’emendamento soppressivo dell’articolo uno del disegno di legge in trattazione.
A proporre la norma sulle partecipate era stato l’assessore regionale all’Economia, Alessandro Dagnino, che l’aveva annunciata prima di portarla in aula durante la chiacchierata fatta negli studi di BlogSicilia durante la trasmissione che lo aveva visto ospite, TalkSicilia. Nella stessa trasmissione aveva annunciato una task force per attrarre investimenti. La strategia (probabilmente non compresa) è sempre la stessa. Ma non tutti nella maggioranza l’avevano condivisa e il voto segreto lo dimostra. In aula, infatti, non c’erano 39 esponenti dell’opposizione (a dire il vero neanche se fossero stati presenti tutti i 70 deputati si sarebbero mai messi insieme 39 esponenti dell’opposizione) e dunque i franchi tiratori si sono espressi anche stavolta.
Un provvedimento salutato con acclamazione
La bocciatura degli aumenti degli stipendi è stata salutata dalle stesse opposizioni e da una importante fetta dell’opinione pubblica come una cosa giusta: come si può pensare di regalare altri soldi a manager che sono stati messi la dalla politica per aver portato voti, perché vicini a questo o quel partito, a questo o a quel politico potente o semplicemente perché “trombati” alle elezioni e dunque da collocare da qualche parte.
Che sarebbe successo era prevedibile ma non così presto
Che sarebbe successo era abbastanza prevedibile. Dopo lo stop alle norme sulle così dette mancette (che hanno anestetizzato le opposizioni in occasione delle finanziarie), non potendo contare su un tesoretto da spendere ciascuno nel proprio territorio, l’opposizione non avrebbe avuto motivi per non fare l’opposizione. E così è stato. Ma forse non lo si aspettava così presto e probabilmente non su un provvedimento del genere.
Una bocciatura dannosa
Andando contro il comune sentire, contro il populismo imperante, bisogna dire senza mezzi termini che quella bocciatura porta un danno e non un successo. Spiegarlo è facile, comprenderlo forse un po’ più difficile. Andiamo per ordine: le società partecipate sono aziende controllate dall’amministrazione pubblicano, create per rendere servizi. Di fatto, ad esempio, gestiscono il sistema internet della Regione, o svolgono compiti bancari che l’amministrazione non può svolgere in prima persona. Un esempio più semplice lo si può fare con i comuni dove gestiscono il trasporto pubblico, l’illuminazione, la pulizia ecc ecc.
Queste società operano con un contratto di servizio ma secondo regole di mercato, privatistiche. Sempre per fare un esempio possiamo parlare di Amap, l’acquedotto di Palermo. E’ una controllata del capoluogo, fornisce i servizi idrici ma nel tempo ha acquisito il servizio per conto di molti comuni della provincia. Insomma ha acquisito nuovi clienti secondo regole di mercato.
La guida e l’efficienza
Stando alle regole di mercato una società cresce con la qualità dei suoi servizi e acquisendo, di conseguenza, nuovi clienti. Queste società, quindi, stanno sul mercato e competono con società private che forniscono servizi simili. Solo che le società private si garantiscono i migliori manager offrendo loro stipendi adeguati alle loro competenze, capacità, reputazione. Al top internazionale succede che ci siano manager che guadagnano milioni ma fanno guadagnare alle proprio società miliardi.
Nelle società partecipate, invece, i manager guadagnano sempre pochi spiccioli e molto spesso i servizi sono di qualità scadente. Non sempre, per carità. Ma di fatto gli stessi cittadini che plaudono al mancato aumento poi si lamentano dei servizi inefficienti
Il principio di mercato
L’equazione è tanto semplice quando difficile da far capire a chi vive nel suo piccolo orticello del non fare e non far fare: stipendi bassi corrispondono a manager scadenti o addirittura a scelte di sottogoverno che ricadono su persone priva delle necessarie competenze. Stipendi bassi escludono dall’equazione immediatamente ed a priori manager bravi e competenti che preferiscono collocarsi nel privato dove lo stesso lavoro viene pagato dieci volte e con possibilità di crescita.
Stipendi alti aprono alla possibilità di competere sul mercato con aziende private per accaparrarsi i migliori manager. E i migliori manager producono efficienza nei servizi erogati, nelle performance, nella collocazione dell’azienda sul mercato.
Equazione non sempre scontata e il rischio “pubblico”
L’equazione, per carità, anche qui non è sempre scontata. Ma il manager con stipendio milionario che non porta risultati va a casa in men che non si dica.
detto questo la preoccupazione dell’opposizione è comprensibile. Alzare i compensi porta con se la tentazione per certa politica di far regali d’oro ad amici che comunque competente non sono. E qui si entra in quel loop della crescita bloccata: possiamo non costruire più opere pubbliche perché c’è il rischio che si infiltri la criminalità? Possiamo non dare più contributi all’agricoltura che ne ha bisogno perché c’è chi truffa? E’ l’eterna tentazione di non far nulla per non sbagliare. Un loop nel quale gattopardescamente tutto cambia per non cambiare nulla: gli stipendi restano bassi, i servizi restano inefficienti e possiamo lamentarci tranquillamente
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