Un altro colpo ai fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, il superlatitante più ricercato d’Italia. Oltre 100 uomini tra carabinieri del nucleo investigativo di Trapani, del Raggruppamento operativo speciale e della Dia, hanno arrestato 12 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione, favoreggiamento e fittizia intestazione di beni, tutti aggravati da modalità mafiose.

L’operazione nasce da un’inchiesta avviata nel 2014 su esponenti delle famiglie di Vita e Salemi, ritenuti favoreggiatori di Messina Denaro.

Le indagini hanno consentito di individuare in Salvatore Crimi e in Michele Gucciardi i capi famiglia della cosa nostra di Vita e Salemi e di assicurare alla giustizia diversi gregari.

I citati soggetti, servendosi anche di professionisti nell’ambito di consulenze agricole e immobiliari, sono riusciti, attraverso la Agri Innovazioni srl, società di fatto riconducibile Girolamo Scandariato, a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname.

I due importanti “uomini d’onore” hanno avuto un ruolo centrale nella gestione di una grossa operazione di speculazione immobiliare realizzata attraverso l’acquisto in un’asta giudiziaria di una vasta tenuta agricola di oltre sessanta ettari (sita in località Pionica del comune di Santa Ninfa) e la successiva rivendita alla Vieffe, società agricola riconducibile ad imprenditori di San Giuseppe Jato, vicini ad ambienti mafiosi locali.

L’azienda agricola, di proprietà della moglie di Antonio Salvo, nipote dei noti esattori salemitani, i cugini Nino e Ignazio Salvo, sotto la regia di cosa nostra trapanese, veniva formalmente acquistata all’asta da Roberto Nicastri, ritenuto prestanome del fratello Vito, noto imprenditore del settore eolico, già sorvegliato speciale di p.s., per poi essere ceduta alla Vieffe per l’importo di 530.000 euro.

Il prezzo di vendita reale dei terreni è stato notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata incassata dagli uomini di cosa nostra per la loro attività di “intermediazione immobiliare”.

Secondo le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, corroborate dall’attività d’intercettazione svolta dagli inquirenti, parte di tale somma sarebbe stata destinata da Michele Gucciardi e Vito Gondola, già reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, al mantenimento del latitante Matteo Messina Denaro, che l’avrebbe ricevuta per il tramite proprio di Lorenzo Cimarosa e Francesco Guttadauro, nipote prediletto del latitante, in atto detenuto.

Michele Gucciardi avrebbe inoltre costretto l’originaria proprietaria dei terreni a rinunciare ai propri diritti di reimpianto dei vigneti insistenti sulla tenuta agricola, onde consentire agli imprenditori di San Giuseppe Jato di ottenere finanziamenti comunitari per seicentomila euro circa, in parte distratti per pagare il prezzo d’acquisto della tenuta stessa.

Sempre Gucciardi era riuscito a reinvestire il denaro della famiglia mafiosa di Salemi  in terreni già riconducibili al mafioso Salvatore Miceli ,  acquistati formalmente dalla moglie di Sergio Giglio, recentemente condannato per associazione mafiosa, perché coinvolto nella veicolazione dei “pizzini” per Matteo Messina Denaro.

Salvatore Crimi invece, attraverso la società Aerre sas di proprietà della moglie, è riuscito ad investire nel campo della ristorazione, aprendo un ristorante a Ummari, “La Pergola” che ha ottime recinzioni nei siti specializzati

Girolamo Scandariato, inoltre, viene chiamato a rispondere anche del reato di estorsione aggravata da metodo mafioso per aver svolto il ruolo di mediatore mafioso in un’estorsione perpetrata ai danni di alcuni imprenditori che avevano acquistato un terreno agricolo in Castelvetrano, sul quale avrebbe vantato diritti di proprietà (occulta) il defunto boss mafioso Totò Riina.

Le società Aerre sas nonché il 25% del capitale sociale della Agri Innovazioni (quota fittiziamente intestata a Nicolò Scandariato, figlio di Girolamo sono state poste a sequestro preventivo finalizzato alla confisca poiché ritenute fittiziamente intestate a soggetti in realtà facenti parte dell’organizzazione mafiosa.

Il sequestro della Vieffe soc. agr. si è invece reso necessario poiché si è accertato essere un’impresa, a tutti gli effetti, a partecipazione mafiosa, fungendo da strumento per il perseguimento dei fini economici dell’organizzazione criminale.

Gli affari nell’agricoltura

Le indagini, coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido, hanno consentito di individuare i capi dei due clan e di scoprire gregari ed estorsori delle cosche.

Gli arrestati, servendosi anche di professionisti nel settore di consulenze agricole e immobiliari, sarebbero riusciti attraverso società di fatto riconducibili all’organizzazione mafiosa ma fittiziamente intestate a terzi a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname e in attività di ristorazione.

La cerchia del superboss

Parte del denaro derivante dagli investimenti delle cosche trapanesi di Vita e Salemi (Trapani) sarebbe stata destinata al mantenimento del boss latitante ricercato dal 1993. In particolare, i due clan avrebbero realizzato ingenti guadagni investendo nel settore delle agricolture innovative e della ristorazione.

I carabinieri, nel corso dell’operazione, hanno sequestrato tre complessi aziendali, con immobili e macchinari, fittiziamente intestati a terzi ma ritenuti strumento per il business dell’organizzazione criminale.

Il ruolo del «re del vento»

Tra i dodici arrestati c’è anche Vito Nicastri, soprannominato il «re dell’eolico», il «signore del vento», perché è stato tra i primi in Sicilia a puntare sulle energie pulite.

L’imprenditore trapanese è sospettato di aver coperto e finanziato la latitanza del boss ricercato Matteo Messina Denaro.

Quello di Nicastri non è un nome nuovo per i carabinieri e il personale della Dia: i suoi legami col boss gli sono costati sequestri per centinaia di milioni di euro.

Di lui, tra gli altri, ha parlato il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, indicandolo come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro.