• Referendum eutanasia legale, raccolte 8mila firme in Sicilia
  • L’obiettivo dei promotori è arrivare a 500mila firme entro il 30 settembre
  • L’intervista a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni

Dare la parola ai cittadini, a fianco delle persone che non possono aspettare i tempi della politica e della giustizia. E’ questo l’obiettivo dei promotori del referendum sull’eutanasia legale. In corso la raccolta firme in tutta Italia. E’ arrivato stamane in Sicilia, per una sorta di ‘tour’ di presentazione della raccolta firme, Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e noto per le sue azioni di disobbedienza civile. BlogSicilia lo ha intervistato.

Quasi 8mila firme in Sicilia

Palermo ha aderito con buona partecipazione alla raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale. L’obiettivo è arrivare a 500mila firme entro il 30 settembre. Quante ne sono state raccolte sinora?

“Abbiamo superato alla grande le 200mila firme, quasi 8mila firme in Sicilia. La cosa importante è che appena riusciamo ad aprire un tavolo per raccogliere le firme la gente si ferma e fa anche la coda per firmare. Perché?
Accade perché le persone sanno, hanno vissuto che cosa significa la sofferenza, la malattia terminale, e sanno quanto sia importante non dovere subire come una tortura delle condizioni perché lo ha scelto qualcun altro. Ecco perché il referendum per l’eutanasia legale è la grande occasione per riconquistare la libertà di scelta sulla fine della nostra vita”.

Referendum abrogativo ed “eutanasia clandestina”

Si tratta di un referendum abrogativo, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, e sostenuto da numerose associazioni, movimenti e partiti che permetterebbe di introdurre in Italia l’eutanasia legale. Una svolta di civiltà?

“Come in Olanda, come in Belgio, in Lussemburgo, in Spagna: nessun Paese che lo ha fatto è tornato indietro, perché non toglie nessun diritto ad alcuno, nessuno sarebbe obbligato, chi non lo vuole fare non lo fa. Ma per chi, ad un certo punto, magari dopo avere lottato per anni, per vivere e vivere meglio, decide che il livello di sofferenza è diventato non più tollerabile, le condizioni di dignità della vita non ci sono più, allora quella persona può scegliere. Ecco cosa vogliamo, l’eutanasia legale, che è il contrario di quello che c’è adesso, l’eutanasia clandestina, perché l’eutanasia c’è.
E sono i mille malati all’anno che si suicidano nelle condizioni più terribili, magari buttandosi dalla finestra o chiedendo, per chi può, l’intervento pietoso del medico o andando in Svizzera a spendere 12mila euro per ottenere l’eutanasia all’estero. Ma un malato terminale deve arrivarci in Svizzera. Chiaramente quasi nessuno può fare una cosa del genere. Ecco, il referendum per l’eutanasia legale è quello che ci consentirà di scegliere tra l’eutanasia clandestina, che c’è già, e l’eutanasia legale fatta di regole, responsabilità e conoscenza, alla luce del sole”.

La prima proposta di legge nel 1984

Una questione etica ma anche di diritto, nonché una battaglia iniziata tanto tempo fa…

“Sono passati 37 anni dalla prima proposta di legge del 1984. Il Parlamento italiano non ne ha mai discusso.
Nel frattempo ci sono stati due richiami della Corte Costituzionale sui miei processi, due assoluzioni che sono arrivate. Abbiamo raccolto 140mila firme sulla legge di iniziativa popolare. Nonostante tutto questo, il Parlamento, in 37 anni, non ha mai trovato un minuto di tempo per discutere su questo.
Visto che la Costituzione ci dà, come cittadini, la possibilità di decidere, con il referendum, noi proponiamo, offriamo, a tutti e a tutte, la possibilità di decidere noi come popolo italiano”.

Il dibattito sul “fine vita”

A che punto è il dibattito sul “fine vita” in Italia”?

“E’ un dibattito, quello sul “fine vita”, sommerso, clandestino. Lo facciamo privatamente, personalmente, in famiglia. Lo facciamo quando escono fuori dei casi di cronaca, il caso Welby, il caso Englaro, il caso dj Fabo. Quello che manca è un grande dibattito pubblico, un grande confronto tra le ragioni a favore e le ragioni contro, che comunque farebbe crescere la consapevolezza di tutti. Ecco, questo dibattito, i grandi potenti della politica non lo vogliono organizzare, così come i grandi potenti dell’informazione nazionale. Lo dobbiamo fare da noi perché tutti i sondaggi dicono che la grande parte della popolazione è pronta, è d’accordo; è il ceto dirigente che non è capace di affrontare questo tema. E quindi, il referendum è proprio lo strumento perfetto”.

Il caso di dj Fabo e di Davide Trentini

Nel settembre 2019 la Corte Costituzionale si è pronunciata sul suo caso, Lei ha rischiato sino a 12 anni di carcere per aiuto al suicidio di Fabiano Antoniani, noto a tutti come dj Fabo. Recentemente è stato assolto anche in merito alla morte di Davide Trentini. Cosa le hanno insegnato queste esperienze?

“Ho aiutato Fabiano e Davide perché l’ho considerato un mio dovere, prima ancora che un fatto politico o giuridico. Rispettare la volontà di un malato in quelle condizioni è rispettarla sempre, se si vuole curare e se vuole smettere di vivere. Quindi, umanamente, questo mi ha dato molto anche nel fare i conti con il morire, che fa parte della vita. E quindi non possiamo espellerlo dal dibattito pubblico.
Da un punto di vista più giuridico, è stata una enorme conquista per tutti.
Perché la Corte Costituzionale ha detto che in quelle condizioni il malato può essere aiutato a morire.
E’ un suo diritto. Quale è il problema? Perché ci vuole comunque una legge o il referendum?
Perché, ad esempio, per l’assoluzione su Davide Trentini, ci sono voluti 4 anni e 9 udienze di tribunale.
Ma un malato terminale ovviamente non ha 4 anni di tempo per andare in giro per tribunali a far valere i propri diritti.
Ha bisogno che in tempi rapidi, poche settimane, si verifichino le sue condizioni, se in realtà il malato è curato male, bisogna curarlo meglio, con la giusta assistenza psichiatrica e psicologica ed assistenti sociali.
Se ci sono problemi di solitudine profonda vanno affrontati.
Se però quella è una situazione che non può trovare una soluzione con un aiuto alla vita, ma deve essere rispettosa della volontà di interrompere la vita, a questo punto, chi siamo noi per imporre a qualcuno, contro la sua volontà, la nostra? Ecco perché quella sentenza della Corte Costituzionale ha aperto una strada, ma non possiamo pensare che in una società siano sempre i tribunali a prendere le decisioni”.

“Non è una battaglia di morte”

Cosa sono la vita e la morte per Marco Cappato?

“Il morire fa parte della vita, poi quando siamo morti ognuno ha le sue convinzioni sul dopo che c’è o che non c’è. Ma quello su cui tutti possiamo essere uniti, laici, cattolici, credenti, non credenti, destra, centro, sinistra, non ci sono divisioni su questo è che nel vivere, lo Stato, le istituzioni, i medici, gli altri, ci devono aiutare a vivere meglio. Conta la qualità della vita. Vale soprattutto in quei momenti nei quali siamo più deboli e fragili, cioè i momenti della fine della vita.
L’eutanasia legale, il referendum, non è una battaglia di morte, anzi, è una battaglia di vita, di libertà.
E non è vero che c’è uno scontro tra laici e cattolici, perché un cattolico può essere laico, basta che faccia la differenza tra quello che sceglierebbe per se stesso magari rispettando un dogma religioso e quello che invece va imposto per legge a tutti.
Tanti cattolici sono laici, ed è questa anche la forza dei tavoli di raccolta firme sul referendum eutanasia legale e delle tante persone che vanno a firmare nei Comuni”.

Il quesito referendario

Il quesito referendario si pone l’obiettivo di introdurre l’eutanasia legale tramite l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente.

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