Elezioni rinviate, anzi no, anzi sì, oppure forse. Ancora un nulla di fatto su tutta la linea per le ex Province siciliane che dopo quasi sette anni non hanno guida ed all’orizzonte non vedono la possibilità di averne una se non commissariale. La maggioranza regionale torna a spaccarsi per l’ennesima volta, non passa la parola del Presidente Musumeci e l’aula non decide nulla dopo scontri, dibattiti, accordi sotterranei e rinvii.

Una sola cosa è certa: ormai le elezioni di secondo livello di fine giugno, quelle che avevano causato lo spostamento della data delle amministrative discostatesi dalle Europee sono in Sicilia, non si terranno.

Ieri in aula all’Ars è arrivato l’emendamento che le ripristinava dopo il rinvio di un anno deciso la scorsa settimana in base ad un accordo politico pre elettorale fra Forza Italia, Sicilia Vera di Cateno De Luca e Sicilia Futura dell’ex Ministro Cardinale passato sopra la testa di Musumeci e del suo governo. Nel fine settimana il governatore aveva annunciato il ripristino.

Ma l’emendamento di ieri, con concretezza, parlava di elezioni da tenere ad ottobre. Ma niente da fare, neanche quella data è passata. Musumeci, alla fine, si è rimesso all’aula sovrana ma la frustrazione del presidente è apparsa abbastanza chiara anche se la questione di principio non è proprio fra quelle irrinunciabili.

“Occorre dare ai cittadini la certezza dei servizi che devono essere erogati dalle ex province. Occorre dare ai dipendenti di questi Enti certezze sul proprio futuro e sulla possibilità di continuare a svolgere il proprio lavoro” ha detto Marianna Caronia, secondo cui “l’indizione delle elezioni, sia pure elezioni di secondo livello che mi auguro vengano presto superate dal ritorno all’elezione diretta, è un segno di attenzione verso Enti che per colpa di folli scelte del passato e dei tagli nazionali sono oggi allo stremo e sono costretti a tagliare servizi essenziali ai cittadini”

Dall’opposizione il capogruppo del Pd Giuseppe Lupo è tornato sui temi diversi da quelli del voto “Assetto finanziario, gestione del personale, assistenza ai disabili, servizi per la manutenzione di strade e scuole: sono questi i veri nodi da affrontare quando si parla di Liberi Consorzi di Comuni e Città Metropolitane. Invece d proseguire il balletto sulla data delle elezioni, il presidente della Regione dovrebbe dedicare una seduta dell’Ars a questi temi per trovare, tutti insieme, una strategia di rilancio degli enti”.

Ma anche dalla maggioranza sono arrivate bordate alla scelta di votare “Sulle province il tema vero non è quando si vota. Rischiamo di accapigliarci su questioni di lana caprina. Il tema vero sono le competenze, le funzioni, la riforma organica che deve essere elaborata sulle province ma soprattutto le risorse che devono essere erogate – sono le parole di Vincenzo Figuccia deputato all’Ars e leader del Movimento Cambiamo la Sicilia che prosegue – 150 milioni,
l’abbiamo detto più volte, rappresentano un primo passo ma serve di più. Serve guardare all’intero importo dei 350 milioni di euro e serve prima ancora quindi di fissare la data, capire come salvare i servizi essenziali. Poco importa se la consultazione possa tenersi a ottobre, novembre, dicembre. Trovare soluzioni al tema della manutenzione delle
strade, dell’assistenza scolastica ai disabili, capire con quali risorse garantire i servizi delle province che altrimenti rischiano il default senza il trasferimento delle somme alla Regione da parte dello Stato. Per questo – prosegue Figuccia – chiediamo che venga calendarizzato il nostro ordine del giorno che garantisce un impegno
da parte del governo regionale a chiedere le risorse aggiuntive per salvare questi enti.

Sul tema è intervenuto anche il deputato Danilo Lo Giudice “Mentre discutiamo se votare a ottobre, novembre piuttosto che ad aprile – dichiara il parlamentare – il problema reale sulle province è rappresentato dalle risorse finanziarie. Quello che l’accordo Stato-Regione che è attualmente in discussione a Roma, allo stato attuale prevede 150 milioni di cui 100 milioni saranno destinati alle province, 50 milioni all’interno del bilancio della regione di cui non si capisce cosa se ne farà. Ma mi chiedo, di questi 100 milioni, quali saranno le province privilegiate ad essere salvate e chi deciderà se salvare Palermo piuttosto che Messina, Ragusa o Enna? Bisogna spostare l’attenzione su quello che è il tema vero. Se c’è questa volontà, allora è chiaro che l’impegno deve essere quello di prendere
350 milioni dalle risorse del fondo Fsc che probabilmente come è successo già in passato, nella loro complessità non potranno essere totalmente spese dalla Regione Siciliana e utilizzarle per qualcosa di serio considerando la funzione importante che questi enti intermedi svolgono all’interno del panorama istituzionale ma soprattutto alla
luce dei numerosi e fondamentali investimenti in capo alle province determinanti per lo sviluppo del territorio”.

Alla fine emendamento ritirato e 5 stelle che gioiscono e sottolineano le contraddizioni di una maggioranza litigiosa e che non sembra essere mai esistita davvero “Un osceno teatrino, con fughe in avanti e penose marce indietro di cui i siciliani avrebbero fatto volentieri a meno. Alla fine l’emendamento della maggioranza, che sanciva lo slittamento delle elezioni degli organi delle ex Province alla primavera del 2020, è stato ritirato dal governo, come auspicato dal M5S. L’esecutivo, non fidandosi della sua maggioranza, ha preferito non rischiare una nuova figuraccia in aula” afferma il capogruppo del M5S all’Ars Francesco Cappello.

“Il voto dell’emendamento – continua Cappello – sarebbe stato un oltraggio al regolamento, anche se la cosa non ci avrebbe meravigliato più di tanto, visto che in questa legislatura l’applicazione quantomeno allegra di questo è stata frequente. Resta comunque – conclude Cappello – l’immagine plastica di una maggioranza inesistente e rissosa, pronta a sgambettare in qualsiasi momento il governo e la Sicilia per curare i propri interessi di bottega, magari per conquistare qualche strapuntino in giunta dopo i nuovi equilibri venuti fuori dalle elezioni Europee”.

Nulla di fatto, dunque, liti a parte, e accordo politico pre elettorale che regge continuando a passare sulla testa del governo. E oggi la capigruppo

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