Domenico Di Blasi, ex vicedirettore della filiale delle Poste Ausonia di Palermo, va riassunto e risarcito in base all’articolo 18 della Statuto dei lavoratori.

Lo hanno stabilito i giudici dopo una intricata vicenda che aveva visto un correntista ‘derubato’ di 60mila euro. Ma secondo i giudici, il sospetto di un coinvolgimento di Di Blasi è privo di “forza e valore”.

Di Blasi, assistito dall’ avvocato Giuseppe Geraci, vince dunque un altro round del lungo match giudiziario che lo vede contrapposto alla sua azienda (assistita dall’ avvocato Gaetano Granozzi), condannata anche in secondo grado ad un ulteriore pagamento di spese. La sentenza è della sezione Lavoro della Corte d’ appello, presieduta da Matteo Frasca, a latere Claudio Antonelli e il consigliere relatore ed estensore, Gianfranco Pignataro.

Severe le valutazioni dei giudici sulla «reclamante», cioè Poste Italiane, che non ha provato il «divieto aziendale a tutela della riservatezza dei clienti», posto a fondamento del licenziamento, né è stata in grado di produrre nel procedimento la circolare che lo imporrebbe.

Di Blasi era stato licenziato in tronco dopo che un cliente della filiale era stato vittima di un raggiro: gli erano stati cioè rubati 60 mila euro con un assegno clonato e il prelievo illecito era avvenuto da un conto su cui lo stesso correntista, nei giorni precedenti, aveva effettuato un versamento che rasentava i 200 mila euro.

Proprio dopo questa operazione Di Blasi aveva avviato una “consultazione dei dati di capienza e di movimentazione”, cosa che secondo la sua azienda non avrebbe dovuto fare. Perché dopo l’operazione era avvenuto il furto.

Per le Poste dunque, quel controllo non era consentito e Di Blasi, aveva agito a danno del correntista “in concorso con altri soggetti da identificare”.

Per i giudici di appello “contrariamente a quanto sostenuto dalla società la posizione direttiva rivestita dal lavoratore imponeva a suo carico specifici compiti di controllo, al fine di valutare l’eventuale natura sospetta di una determinata operazione, attribuendogli la facoltà economica del correntista e la conseguente congruità delle operazioni eseguite con la sua disponibilità economica”.

La verifica inoltre, era avvenuta alle 19,40, durante l’orario lavorativo di Di Blasi, e quindi per i giudici è operazione legittima. L’interrogazione sul conto avvenne il 19 giugno 2014 con la password di accesso al sistema informatico di Di Blasi e questo non può “costituire prova idonea della compartecipazione del vicedirettore alla fraudolenta clonazione e negoziazione dell’ assegno, compiuta da terzi soggetti”.