• Quaranta anni fa la scoperta della Loggia P2
  • Gelli ne era il Grande Maestro
  • Un passato da camicia nera, il Venerabile ha condizionato la vita del Paese
  • Il giorno del sequestro Moro disse: “il più è fatto”

Il 17 marzo 1981, il Blitz della Procura di Milano a Castiglion Fibocchi

Licio Gelli e la Loggia P2. Questa storia inizia quaranta anni  fa con una serie di perquisizioni a carico di Licio Gelli, il Venerabile Maestro di quella comunità esoterica. Villa Wanda, la sua residenza di Arezzo, diventa il luogo simbolo di quel grumo di potere. E’ il 17 marzo del 1981, quando l’Italia scopre i legami occulti e deviati della P2.  Quella vicenda è una ragnatela che avvolge i grandi misteri d’Italia. Dalla strategia della tensione alle stragi di mafia, dalle crisi internazionali ai crack finanziari, senza soluzione di continuità, apparirà sempre l’ombra di quella fratellanza occulta e illegale. E’ una storia dai risvolti anche “siciliani”.

Chi era Licio Gelli?

Licio Gelli nasce a Pistoia il 21 aprile 1919. È l’ultimo dei quattro figli di una famiglia modesta. Licio si fa espellere da scuola a tredici anni. Quattro anni dopo si arruola con le «camicie nere» e va in Spagna, dove è in corso la guerra civile. Combatte  per il dittatore Francisco Franco. Nel 1939  aderisce al Partito nazionale fascista. Nel 1940 viene chiamato dall’esercito e inviato in Albania e Dalmazia. L’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio di Cassibile, passa sotto le bandiere della Repubblica sociale di Salò, finendo nella divisione SS «Hermann Göring» come sergente maggiore. Viene catturato dagli Alleati e rischia di essere giustiziato. Verrà salvato dal Comitato di liberazione nazionale di Pistoia. Il motivo? Gelli è una spia dell’intelligence americana in Italia. Un rapporto del distaccamento della Cia a Roma, nel 1950, lo definirà un attivista del Partito comunista italiano. Alla fine degli anni Cinquanta sarà assunto alla Permaflex, la fabbrica di materassi a molle, che lascerà per mettersi in proprio con i fratelli Lebole. Gelli entra in massoneria nel novembre del 1964.   La sua tessera d’iscrizione è quella della loggia Gian Domenico Romagnosi di Roma, comunità del Grande Oriente d’Italia. Nel giro di due anni diventa Grande Maestro e nel 1966 passa alla loggia Propaganda 2.

In quegli anni Gelli lavora sotto traccia e inizia a condizionare la vita politica ed economica del Paese. Ha legami con i dittatori sudamericani. L’importanza della Loggia P2 balza alla cronaca soltanto nel 1976, ne scrive il giornalista Mino Pecorelli, che poi entrerà nella loggia deviata. Gli uomini della P2 avranno un ruolo anche nel sequestro dell’Onorevole Aldo Moro. Alla notizia dell’agguato delle Br contro lo statista democristiano, Gelli esclamerà: “il più è fatto”.

Il blitz

Nel 1981 i magistrati milanesi Turone e Colombo sono già da tempo sulle tracce di Gelli. Studiano milioni di pagine  delle indagini sul crac Sindona e sull’omicidio Ambrosoli. Il nome di Gelli circolava già da parecchi anni negli  uffici giudiziari di Roma, di Palermo e di Milano, almeno  dal 1974.  La Procura milanese ha  accumulato montagne di dati. E’ il momento di agire. La notizia della perquisizione viene mantenuta segreta perché i giudici istruttori sanno bene che il rischio di tradimento è altissimo. La Fiamme gialle  hanno messo in  piedi un vero e proprio commando.

La Procura ha disposto che le perquisizioni si effettuino contemporaneamente in quattro località diverse. Il primo obiettivo è Villa Wanda, la residenza di Gelli sulle colline di Arezzo; poi c’è la Giole, una fabbrica di abbigliamento a Castiglion Fibocchi; una società di import-export a Frosinone; e infine l’hotel Excelsior di Roma, dove il Venerabile aveva insediato il suo centro operativo (occupando tre suite,  dalla 127 alla 129). L’operazione inizia alle nove di mattina. I militari non trovano nulla di rilevante nella villa di  Arezzo, né a Frosinone e nemmeno nell’albergo romano.

A Castiglion Fibocchi hanno però più fortuna:  trovano una valigia, una scrivania e una cassaforte, tutte chiuse a chiave. La guardia di finanza chiede a Carla Venturi, la segretaria di Gelli, e ai collaboratori  della ditta Giole di aprire i tre contenitori. Tutti sostengono di non essere in possesso delle chiavi.  In ufficio arriva una telefonata di Gelli. Dopo l’ingresso delle fiamme gialle nella sua abitazione di Arezzo ha capito che qualcosa di grosso si sta muovendo e corre ai ripari, tentando di mettere in sicurezza i documenti della Loggia P2. Al telefono risponde Carla Venturi.  Gelli le chiede di simulare una discussione col padre e la invita ad allontanarsi, per poi sentirsi nuovamente al  telefono senza l’ingombrante presenza dei finanzieri.

Quella telefonata, però, è intercettata in tempo reale. spuntano le chiavi della cassaforte e si svela l’universo della P2. Il colonnello Bianchi, trovata la lista degli affiliati, capisce il motivo di tanta riservatezza da parte degli inquirenti milanesi: in quelle pagine sono indicati i nomi del fior fiore dell’establishment italiano.

La notizia viene battuta dall’Ansa. Leggenda vuole che a dettare il primo take sia stato un giovane cronista politico: Luigi Bisignani. Una coincidenza? Dagli elenchi della loggia si scopre che Bisignani è il più giovane degli affiliati  alla P2: tessera numero 1689, fascicolo 203, data di iscrizione 1° gennaio 1977. Il giornalista, però, negherà sempre l’affiliazione.

L’elenco comprende tre ministri in carica – Enrico Manca, Franco Foschi e Adolfo Sarti (ma Gelli sosterrà in seguito che alla P2 avevano aderito sette ministri) –, un centinaio di politici, i vertici  dei servizi segreti e oltre duecento ufficiali di carabinieri e forze armate. La lista si conclude con quarantanove banchieri, centoventi imprenditori e ventisette giornalisti. In tutto 962 persone.  Il materiale viene portato in procura, a Milano. Ai magistrati basta poco per comprendere di aver messo le mani sui fili dell’alta tensione.  Il capo del governo è Arnaldo Forlani: tenta di minimizzare il contenuto dei documenti che gli vengono mostrati. Ipotizza che si tratti di un falso, ideato allo  scopo di gettare discredito sulle persone citate. Per due mesi Palazzo Chigi resterà in silenzio. I giornali hanno iniziato a pubblicare brandelli di verità, ma nessuno ha idea dello tsunami che sta per scatenarsi sull’Italia.

La diga crolla il 20 maggio del 1981, quando Forlani rende pubblici i nomi dei 962 affiliati alla P2 ed è costretto alle dimissioni. Pertini affida l’incarico a Giovanni Spadolini. Gelli, intanto, è scappato all’estero, sotto la protezione del suo confratello Umberto Ortolani. Va in Svizzera. Una delle prime mosse del nuovo premier repubblicano è proporre lo scioglimento  della P2 e presentare un disegno di legge per vietare le associazioni segrete. Un nuovo ritrovamento di documenti avviene all’aeroporto di Fiumicino, il 4 luglio 1981: Maria Grazia Gelli, figlia del Maestro Venerabile, viene fermata a un controllo doganale, all’arrivo del volo che la riporta in Italia da Rio de Janeiro. Nel doppiofondo della sua valigia vengono trovate cinque buste sigillate con nastro adesivo, contenenti documenti compromettenti. Sono indirizzate a Gelli e ad altri affiliati della P2. In quelle buste verranno ritrovati un memorandum sulla crisi del partito democristiano e il Piano di rinascita democratica, il decalogo gelliano per il futuro dell’Italia.

Gelli finirà alla sbarra per una serie infinita di procedimenti giudiziari. Molte piste investigative finiranno nel nulla. Ma il Grande Maestro non sfuggirà a una serie di condanne definitive. Gelli muore nel 2015

(per la redazione di questo testo, l’autore ha utilizzato brani del libro “Onorate Società”, Bur Rizzoli)

 

 

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