E’ tornata. Non ne avevamo sentito la mancanza ma Greta Thunberg è tornata all’assalto. La pasionaria verde ritorna più agguerrita che mai. Lo fa nel giorno in cui nelle piazze italiane è riapparso, dopo il lockdown, il “Fridaysforfuture”, lo sciopero che gli studenti di tutto il mondo mettono in pratica di venerdì, per celebrare il giorno in cui l’eroina svedese iniziò la sua manifestazione di fronte al Liceo.

Con mascherina sponsorizzata sul tema difesa ambientale, Greta mostra parte del suo volto ed ancora una volta ci irradia di pillole di finta saggezza. Che sono la sua vera essenza: Greta è un fenomeno di marketing nato da ottimi motivi ma con alle spalle giganteschi interessi particolari. Greta, oggi, non soltanto promuove l’ennesimo venerdì di protesta, ma firma un editoriale diffuso erga omnes per lanciare l’ennesimo polpettone: in pratica è la prefazione al libro della sua gemella diversa Jamie Margolin.

Noi vinciamo, noi ce la facciamo, noi salveremo il pianeta, noi saremo presenti nell’ora più buia. Pillole scomposte di retorica che ricordano un po’ Salvini in modalità capitano invincibile, un pò Winston Churchill alle prese con l’invasione nazista. Di Churchill, va detto, la nostra super Greta condivide il fascino piuttosto che l’analisi politica. Quando si mette a grugno duro, somiglia un po’ allo statista inglese.

Eppure il mondo di Greta piace tanto ai ragazzi di oggi. Che si accollano le mascherine ed i banchi con le rotelle, si accollano il distanziamento sui mezzi pubblici, tanto poi vanno a spaccarsi fegato e cervello nelle notti decovidizzate della movida. Nulla in contrario, ma un po’ di coerenza è richiesta a chi pretende di salvare il mondo. Il problema è che intendono farlo senza rinunciare ai loro piccoli enormi privilegi da occidentali. Guardano Greta su Youtube e la venerano come una dea. Senza rendersi conto che possono guardare e commentare l’epopea di Greta perché tanti operai cinesi ed africani buttano il sangue nelle miniere a caccia delle “terre rare”. Ed è solo il più banale degli esempi.

Ora, è vero che stiamo lasciando alle future generazioni un mondo a pezzi. Ma la ricetta di Greta e dei “gretini” è un percorso ad ostacoli, irrealizzabile nei fatti (vedere alla voce Cina, Indonesia, India e Pakistan, tanto per iniziare) che casualmente si plasma in modo perfetto sulla riconversione attuata a livello di investimenti dai grandi gruppi finanziari globali.

Non è una coincidenza. Se veramente Greta è un fenomeno di marketing, sarebbe lecito almeno sapere quale sia il prodotto che vogliono venderci. Perché sarà un caso, ma oggi nelle piazze italiane i giovani fan di Greta uno degli slogan urlati era “Recovery planet”. Vi ricorda qualcosa? Avanti, lo sapete, quello slogan è l’eco dell’agognato “fund” ancora bloccato dalla rissa tra parlamento e consiglio europeo. Nota finale: la scena dei ragazzi in mascherina sdraiati a terra fingendo di esser morti è volgare ed anche un po’ ridicola.

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