“Lo scirocco è uno dei momenti più belli che possano essere concessi all’uomo, in quanto l’incapacità di movimento in quei giorni ti porta a stare immobile a contemplare una pietra per tre ore, prima che arrivi un venticello. Lo scirocco ti dà questa possibilità di contemplazione, di ragionare sopra alle cose, anche se è un po’ difficile, in quelle circostanze, sviluppare il pensiero che è un po’ “ammataffato”, colloso, come la pasta quando scuoce” diceva Andrea Camilleri, scomparso ieri 17 luglio 2019.
Noi siciliani conosciamo molto bene la sensazione di sofferenza psico-fisica che provoca lo scirocco, quella terribile lingua di fuoco che giunge dall’Africa e che anestetizza mente e corpo rendendoci fiacchi, sgonfi, insomma ammataffati; proprio come la pasta quando rimane sul fuoco un minuto in più del dovuto.
Ma che origine ha la parola “ammataffato” che usiamo simpaticamente in famiglia o a cena con gli amici, certi di essere compresi? E’ estremamente difficile risalire all’etimologia delle parole della lingua italiana; linguisti e studiosi dedicano la vita a questo compito. Ma è ancora più complesso risalire all’origine delle parole di un dialetto parlato da un numero più ristretto di persone, soprattutto quando questo non è un semplice dialetto ma una vera e propria lingua con una grammatica a se stante.
Camilleri, con la sua immensa opera intrisa di espressioni siciliane, è venuto in nostro soccorso facendo luce in questo mondo di vocaboli e di significati che stava rischiando di scomparire insieme ai nostri nonni.
Non solo, oltre ad aiutarci ci ha messo di fronte a qualcosa di inedito.
Forse non tutti sanno che il Maestro, molto prima di dar vita alla saga di Montalbano, riscosse importanti apprezzamenti come poeta tanto da ricevere la stima di Ungaretti e di Quasimodo che, impressionati dal quel giovane talento, vollero pubblicarne le opere. Ma ad un certo punto la poesia cominciò a stargli stretta, la lingua italiana era insufficiente ad esprimere tutto.
In quel periodo gli passò persino la voglia di scrivere.
Fu una circostanza tanto particolare quanto tragica a riaccendere nello scrittore la vena creativa. Il padre era in ospedale in punto di morte, Andrea decise di raccontargli, in siciliano, una storia che avrebbe voluto pubblicare ma che non era in grado di tradurre. Allora il padre lo pregò di pubblicarla in dialetto. L’input decisivo era arrivato. Ma come farsi comprendere da tutti esprimendosi in siciliano? Occorreva creare una nuovo stile linguistico che avesse la forza del dialetto e la chiarezza dell’italiano; un equilibrio ricercato sulla base del suono, come un compositore alle prese con una melodia.
“Non si tratta – afferma Camilleri – di incastonare parole in dialetto all’interno di frasi strutturalmente italiane, quanto piuttosto di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note adopera il suono delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si riconosce più il lavoro strutturale che c’è dietro. Il risultato deve avere la consistenza della farina lievitata e pronta a diventare pane.”
Ne deriva un linguaggio nuovo, misto, rafforzato e comprensibile anche oltre lo Stretto di Messina. Una parola siciliana il cui significato si ricava dalle parole italiane a cui è accostata, perché se dopo il verbo “accattare” (comprare) viene il verbo “vendere”, anche un milanese può barcamenarsi e cogliere il senso della frase.
Spesso si dice che Camilleri ha esportato la Sicilia e la “sicilianità” nel mondo; in realtà è esattamente il contrario. Ha portato il mondo dentro la Sicilia. Con le sue capacità artistiche ha guidato il lettore non-siciliano in un viaggio verso la comprensione di quelle innumerevoli sfaccettature che caratterizzano la terra, gli abitanti, il modo di vivere e il parlato.
Il suo più grande merito, linguisticamente parlando, è stato quello di aver acceso nei suoi ammiratori un interesse per questo stile espressivo unico che ha ispirato ricerche, saggi, libri e tesi di laurea finalizzati allo studio del lessico “camilleriano”.
Il web, ad esempio, brulica di forum, siti e discussioni su quest’argomento. Da tempo in rete è reperibile addirittura il vocabolario del Camilleri-linguaggio in cui sono registrati, con tanto di traduzione, tutti i termini dialettali usati dallo scrittore nei suoi libri.
Su tutti, gli ormai internazionali “catafottere”, “cabbasisi”, “spiare” pronunciati dai personaggi rimasti orfani, in una calda giornata di luglio, del loro padre che forse si è solamente fermato a contemplare una pietra, “ammataffato” dallo scirocco, immerso nei suoi geniali pensieri.
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