Per i suoi rapporti di conoscenza con un ufficiale dei carabinieri sarebbe stato pesantemente minacciato dal fratello, mafioso di Carini, che l’avrebbe invitato addirittura a lasciare il paese. Giovanbattista Pipitone, imputato di tre omicidi, nega di essere mai stato a capo del clan: non avrebbe potuto proprio perché i suoi contatti con un carabiniere gli avevano creato problemi con il fratello, il capomafia Angelo Antonino, e col figlio di questi Nino, ora collaboratore di giustizia. Si difende così Pipitone che oggi ha reso un lungo esame davanti alla corte d’assise di Palermo che lo processa per l’omicidio di Giampiero Tocco, rapito davanti alla figlia e assassinato su ordine dei boss Lo Piccolo, e sul duplice omicidio di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto.

Il fratello Angelo, successivamente prosciolto dall’accusa di mafia perché dichiarato incapace di intendere e di volere, saputo della sua amicizia con l’ufficiale sarebbe arrivato prima a minacciarlo in prima persona, poi a rivolgersi al figlio per convincerlo a sparire.

La vicenda sarebbe confermata da alcune intercettazioni di conversazioni avvenute in carcere tra Angelo Pipitone e i familiari che sono state prodotte dal legale dell’imputato, Gimmi D’Azzò. Pipitone, per tutta risposta, per un periodo lasciò Carini, altro dato che, per la difesa, smentirebbe il suo ruolo di capomandamento.

Davanti alla corte, oltre a Giovanbattista Pipitone, sono imputati anche Vincenzo Pipitone, Salvatore Cataldo e Antonino Di Maggio. Il processo è stato rinviato all’8 febbraio per la deposizione dell’ufficiale dell’Arma citato dall’imputato.