Nel caso di Bruno Contrada, “non vi è in effetti alcuno spazio per revocare il giudicato di condanna presupposto, la cui eliminazione non è richiesta, nè direttamente nè indirettamente, dalla Corte europea dei diritti umani, come è desumibile, oltre che dall’assenza di riferimenti testuali a una tale possibilità, dalle statuizioni relative al rigetto della domanda di equa soddisfazione”. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi e relative all’udienza al termine della quale lo scorso 6 luglio aveva dichiarato “ineseguibile e improduttiva di effetti penali” la sentenza con la quale la Corte di Appello di Palermo nel 2006 – irrevocabile dal 2007 – aveva condannato l’ex numero due del Sisde a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, pena interamente scontata.

Le motivazioni circoscrivono e limitano la portata della decisione Cedu dichiarandola immediatamente applicabile (un obbligo’ per i giudici italiani), ma ‘inefficace’ ai fini della revoca del giudizio di colpevolezza di un imputato.

Nel verdetto, la Cassazione spiega che quando la Corte di Strasburgo accerta la violazione di diritti durante un processo, lo Stato che viene condannato – in questo caso l’Italia che è stata sanzionata con la ‘multa’ minima di diecimila euro da devolvere a Contrada – deve applicare subito la decisione della Corte Cedu e il rimedio che ha l’imputato è il ricorso all’incidente di esecuzione davanti al giudice che si occupa dell’esecuzione della pena.

La strada della revisione del processo (pure percorsa da Contrada) non porta risultati perché Strasburgo – rilevano gli
‘ermellini’ – sanziona le violazioni dei diritti e non si occupa dell’acquisizione di prove di innocenza.

Nel caso di Contrada, la Corte di Strasburgo – ricordano i supremi giudici – ha stabilito che l’ex poliziotto accusato di
aver fatto favori a Cosa Nostra avvertendo i boss di retate e appostamenti è stato imputato di un reato la cui “evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni ottanta e consolidatasi nel 1994 con la sentenza ‘Dimitry’ della Cassazione” e questo non ha consentito a Contrada di avere “sufficientemente chiaro e prevedibile” il reato di concorso esterno dato che i fatti commessi vanno dal 1979 al 1988.

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