Lo ha fatto ancora una volta. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci ha preso gusto e ormai, una sera sì e una no, annuncia un nuovo decreto. Stavolta lo ha fatto in un orario ‘decente’ e con una parvenza di conferenza stampa. Nonostante tutto sia avvenuto a distanza i giornalisti hanno potuto porre domande. In una situazione precaria e con mile difficoltà, ma hanno potuto porre questione. Non è stato solo un semplice proclama dal balcone virtuale di facebook. Ma lo ha fatto ancora. Ha annunciato un decreto che ancora non esiste.

E’ il mantra politico di questa emergenza: l’effetto annuncio. Al quale seguono polemiche e, fino all’annuncio precedente a questo, i grandi esodi da Nord a Sud. Possibile che dopo averlo fatto e ripetuto non abbia ancora capito, lui e chi sta con lui, dietro a lui, davanti a lui, di fianco a lui, non abbia ancora capito che annunciare qualcosa che ancora non esiste equivale a dire ai gli italiani, fate tutto il possibile per sottrarvi alle misure che sto per imporvi ora che potete?

Beh quantomeno è improbabile. Gli effetti degli annunci sono stati sotto gli occhi di tutti. Almeno di tutti coloro che volevano vederli e capirli e gli effetti, polemiche comprese, non si sono ancora spenti.

In testa a tutto c’è la proprio sul grande esodo vero Sud e verso la Sicilia. Tanto più che in Sicilia ad oggi il Coronavirus, è ‘solo d’importazione’ ovvero il contagio, fino al 23 marzo, era avvenuto solo perché portato dal Nord Italia attraverso turisti o siciliani di rientro. Ma come si è arrivati a questo punto? Cosa è successo in questa fase e chi ha sbagliato se, come i siciliani sostengono, il contagio nell’isola è stato ‘indotto’ da errori di valutazione e comunicazione fatti a livello nazionale.

Ma prima di entrare nelle polemiche e nelle accuse una cosa bisogna dirla: una grande responsabilità in questa vicenda ce l’hanno anche i “siciliani di ritorno” incapaci di restare nelle loro case settentrionali dopo la chiusura delle fabbriche e delle attività o per paura di un contagio che comunque è possibile anche altrove. Siciliani in parte irresponsabili anche arrivando ‘a casa’ senza autodenunciarsi, senza porsi in quarantena volontaria, senza rispettare il buonsenso che ti consiglierebbe di non fare il giro per salutare parenti ed amici appena tornato in una simile rischiosa situazione sanitaria.

Detto ciò se il cittadino non ha ‘senso di responsabilità’ lo Stato deve impedirgli di far danni. Ed ecco che inizia il racconto di Musumeci e dei siciliani da una parte, del governo dall’altra. Questa storia inizia la sera del 7 marzo quando il Presidente del Consiglio annuncia la zona rossa in Lombardia. Parte la prima grande fuga. Stazione ferroviarie prese d’assalto da chiunque, meridionale, si trovi nel Nord Italia. La paura è quella di restare bloccati e nessuno può fermare l’esodo, l’assalto alle stazioni ferroviarie perchè il decreto è annunciato ma non c’è. In tutto il sud arrivano alla spicciolata. In Sicilia la Regione emette un decreto, Chi arriva si deve registrare e porsi in auto quarantena. Il primo dato parla di diecimila rientri nell’isola ma si riferisce solo a chi si è registrato sull’apposito sito. Inizia la polemica. La Sicilia, in questo momento ha pochi casi di coronavirus. Si conta sulle dite delle mani. Il primo è quello di una turista della Bergamasca poi di qualche suo compagno di comitiva. La Sicilia ha paura che i suoi ‘figli’ di ritorno portino con se il virus pur essendo asintomatici. L’accusa è quella di aver causato il panico e l’esodo con l’effetto annuncio e con l’arrivo del decreto solo 24 ore dopo.

Ma il copione si ripete due giorni dopo con l’annuncio del decreto che farà di tutta Italia ‘zona protetta’ e dunque si chiudono attività, si fermano produzioni. Ancora una volta prima l’annuncio, 24 ore dopo il decreto e ancora una volta parte una ondata di rientri da Nord a Sud.

Musumeci emana altri decreti, chiede l’intervento dell’esercito per blindare la Sicilia, schiera i forestali che sono corpo di polizia regionale ma ha poche risorse. L’ondata non la si riesce a fermare. I rientri arriveranno (quelli registratisi) a 30mila, poi a 35mila. Ma non basta. Compare un altro fenomeno. I sindaci delle città e dei piccoli centri del Nord Italia cominciano ad emettere proprie ordinanze invitando chi è domiciliato nei loro comuni ma residente altrove e non ha motivi di lavoro per restar e visto che molte attività sono chiuse, a tornare a casa sua.
Adesso la situazione si complica. I meridionali, e i siciliani in particolare, vanno in confusione.Quale ordinanza rispetto? Quella che mi dice di andarmene o quella che mi dice di restare? Nell’incertezza torno a casa dove, comunque, c’è sempre il conforto della terra.

Altre polemiche. Altre ordinanze. La Sicilia stavolta si blinda davvero, sullo Stretto può transitare solo chi è autorizzato ovvero personale sanitario, forze armata e e di polizia, lavoratori pendolari che operano fra le due sponde. E scattano le polemiche locali. I più temono perfino i congiunti di ritorno ma c’è chi sottolinea che non si può impedire ad un siciliano di tornare a casa.

Sabato sera la terza puntata. Ancora effetto annuncio e ancora un altro esodo anche se i ministri della salute e dell’Interno stavolta emanano un ordinanza in attesa di un decreto che ritarda. L’ordinanza dispone il divieto di transitare da un comune all’altro. Insomma devi restare nel comune in cui ti trovi. Ma siccome in Italia nessuno controlla, già un altro esodo e un’altra polemica. Solo ch stavolta le stazioni ferroviarie erano presidiate. E allora l’esodo arriva qualche ora dopo con una ondata di autovetture che pressano agli imbarcaderi e pochi controlli.

La risposta non è nello stop all’effetto annuncio e neanche nell’intensificazione dei controlli. Prima i deputati siciliani 5 stelle negano che questo esodo sia mai avvenuto e sciorinano i dati della compagnia di navigazione dello Stretto che smentirebbero le immagini fatte da privati cittadini, da altri deputati o riprese dalle webcam di vigilanza. Poi lo stesso fa anche il Ministro. L’esodo non è mai avvenuto. Musumeci non contro risponde ma si limita a dire che adesso la situazione si è normalizzata, sono stati organizzati i controlli a Villa San Giovanni.

Ma resta una domanda? In quanti sono arrivati e come faremo a controllare se fra di loro ci sono malati o portatori ancora oggi sani, asintomatici? E nel frattempo in Sicilia si chiudono tre comuni che diventano zona rossa. Sono piccoli centri ma di grande storica emigrazione. Centri come Villafrati nel Palermitano, Agira nell’Ennese e Salemi nel Trapanese dove la malattia è letteralmente esplosa negli ultimi giorni. Fino al 15 aprile, nei due centri ci sarà il divieto di accesso e di allontanamento dal territorio comunale e la sospensione di ogni attività degli uffici pubblici, ad eccezione dei servizi essenziali e di pubblica utilità. Potranno entrare e uscire dal paese solo gli operatori sanitari e socio-sanitari, il personale impegnato nella assistenza alle attività inerenti l’emergenza, nonché gli esercenti le attività consentite sul territorio e quelle strettamente strumentali alle stesse, con obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione individuale.

Il provvedimento si è reso necessario dopo che gli uffici delle Asp hanno segnalato: ad Agira il contagio di 9 cittadini, di cui 3 deceduti e ulteriori 6 a cui è stato effettuato il tampone e in attesa di risultato; a Salemi la positività di 15 persone e ulteriori 21 in attesa dell’esito del test. E si sparge il sospetto che il virus lo abbiano portato proprio i siciliani di rientro. Così come in una casa di riposo (una Rsa) di Villafrati piccolo centro del Palermitano. Una giovane di rientro dal Nord che va a trovare il nonno e poco dopo i contagi sono 16, poi 53, oggi 72;  o come la comitiva di sciatori rientrati a Messina dove adesso i contagiati sono più di 100. La prova certa che sia questa l’origine non c’è e forse non ci sarà mai, ma il sospetto a grande. Ed oltre alla paura del virus si rischia anche che si scateni la caccia all’untore.

Tutto questo, probabilmente, si sarebbe potuto evitare con un poco di accortezza nella comunicazione e nell’organizzazione. E nel mondo politico e sanitario si sparge anche un altro terribile sospetto. Che alla fine non si sia trattato di incompetenza ma di un disegno ben preciso per alleggerire la pressione sul sistema sanitario del Nord ormai allo stremo spostando verso Sud il contagio e la cura.

Un sospetto tanto terribile quanto incredibile solo a pensarsi. Un sospetto che è passato anche per la testa del Presidente della Regione che ha detto più volte e non solo ‘di pancia’  che “noi siciliani non vogliamo essere carne da macello”.

Ma adesso, nelle ultime ora, l’allarme è diventato un altro ovvero i siciliani bloccati in Calabria. Decine, forse centinaia, che hanno dovuto dormire in auto. Musumeci invita lo Stato a risolvere il problema, a metterli in quarantena in strutture da reperire in Calabria. Ma poi ci sono loro, i siciliani di rientro che raccontano le loro storie e a distanza dicono “non avremmo mai creduto che in Sicilia, la nostra terra, i nostri concittadini ci avrebbero tradito, rinnegato, abbandonato. Non avremmo mai creduto che la caccia all’untore nascesse proprio in Sicilia”