Entra in vigore la riforma elettorale per i Comuni siciliani. Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana avvenuta ieri la riforma approvata dall’Ars quasi un mese fa diventa legge della Regione.
Fra le novità, la più importante c’è certamente la soglia del 40 per cento, fortemente voluta dal Pd, che dovrà essere superata dai candidati sindaco per vincere direttamente le elezioni senza passare dal ballottaggio.
Una cifra digerita male da Forza Italia, che inizialmente aveva flirtato con i democratici fino a poco prima della votazione, sperando di abbassarla al 38 per cento (i forzisti inizialmente spingevano per il 35), e malissimo dal M5S che a più riprese ha tuonato annunciando “la morte della democrazia” perché “di fatto in Sicilia viene stravolto un principio matematico: vince la minoranza”.
Con la nuova contestata legge sarà più facile sfiduciare un sindaco o farlo decadere: il primo cittadino e la rispettiva giunta cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dal sessanta per cento dei consiglieri assegnati o, nei comuni con popolazione fino a 15 mila abitanti, dai due terzi dei consiglieri assegnati. C’è poi la norma che nei Comuni con oltre 15mila abitanti abbassa il quorum per la mozione di sfiducia ai sindaci al 60 per cento più uno dei pareri dei consiglieri comunali, rispetto ai due terzi finora in vigore. Inizialmente era stato proposto il 50 per cento e non sono mancate le frizioni anche fra le varie anime del Pd.
L’addio ai ballottaggi è accompagnato dal ritorno alla norma che estende automaticamente anche al candidato sindaco il voto espresso per la lista che punta a rafforzare i partiti rispetto ai candidati fuori dagli schieramenti.
La riforma elettorale, dunque, praticamente riporta indietro le lancette al 2011 quando l’effetto trascinamento delle liste decretava l’elezione di un sindaco, anche se questi era un perfetto sconosciuto alla maggioranza degli elettori.
La prova provata, ovviamente, saranno le prossime elezioni comunali per le quali sono già iniziate le grandi manovre.
Non sono passati gli emendamenti, invece, che prevedevano dei limiti ai mandati dei consiglieri comunali e quello che avrebbe voluto eliminare la preferenza di genere per paura di un controllo del voto.
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