la recensione

“Le voci dei bambini” di Margherita Rimi, la raccolta di poesie che esplora l’universo dell’infanzia violata

Nel variegato panorama della poesia italiana contemporanea Margherita Rimi occupa un posto di rilevo e tutto particolare. Lo occupa a pieno titolo per il tema delle sue poesie: l’infanzia deviata. La Rimi, nata a Prizzi ma da tempo residente ad Agrigento per lavoro, è una neuropsichiatra infantile e si occupa di bambini disabili e vittime di violenza.

Per tanti, purtroppo, il lavoro è solo un mezzo di sostentamento, una necessità per guadagnarsi da vivere. Né ciò si verifica per i soli lavori routinari o meno importanti nei loro risvolti sociali. La Rimi, invece, è consapevole del rilievo del proprio mestiere e lo svolge con una partecipazione tale da coniugare la dedizione alla cura dei piccoli e la passione letteraria.

Da poco in libreria la sua ultima raccolta di versi, Le voci dei bambini – Poesie 2007- 2017”, edita da Mursia, che fa seguito alle sue precedenti sillogi “Era farsi. Autoantologia 1974-2011” e “Nomi di cosa- Nomi di persona”, entrambe edite da Marsilio.

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Anche “Le voci dei bambini – Poesie 2007- 2017”, come le altre due raccolte, dà la parola ai piccoli oggetto della sua attenzione di neuropsichiatra.

L’operazione che mette in atto Margherita Rimi è originalissima quanto ardita: rielaborare il linguaggio dei minori spesso espressione di esperienze traumatiche e dolorose, linguaggio che, di per sé carico di inventiva e dotato di una forza intrinseca di ribellione al male, assume, grazie all’intermediazione dell’autrice, una potenza lirica tale da trasformarsi tante volte in un urlo soffuso di protesta contro i soprusi e le violenze che l’infanzia subisce.

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Quello dei piccoli è “un linguaggio dolente ma anche creativo e luminoso”, nota Guido Oldani nel risvolto di copertina, e i bambini “diventano cantori ognuno del proprio calvario personale”.

La rielaborazione della Rimi delle voci dei bambini risponde a finalità estetiche, nel senso che mira a rafforzarne la valenza poetica, a valorizzarne lo spessore letterario. Non per questo, però, la Rimi altera o camuffa le parole degli adolescenti: le registra lasciandone incontaminate la genuina meraviglia ( “C’è / un arcobaleno / vicino vicino, troppo vicino / non si può andare / non sappiamo / dove atterra” ), la straripante energia “metafisica” ( “Ci sono tanti vermi / che mangiano i colori / ci sono tante onde / alte alte / che rompono il cielo / E se il cielo si rompe / non c’è più il sole / e la notte”), l’esplosiva denuncia ammantata da afflati lirici ( “La bambina non si spogliava più / vestiva le bambole / prima di addormentarsi”).

Per tali motivi la poesia della Rimi alla pregnanza letteraria accompagna quella sociale. Da un canto esplora l’universo drammaticamente poetico di un’infanzia vittima di nefandezze e atrocità ( “Adesso sono riuscita a mettere le parole a quella storia / ho capito che quello non era amore / Non mangio più voglio scomparire diventare trasparente” ), dall’altro eleva il suo monito di protesta. E perciò, quella della Rimi, oltre che una poesia sperimentale connotata dalla ricerca di una espressività intensa e innovativa, è una poesia civile dall’impronta altamente etica.

La silloge, divisa in cinque sezioni che prendono il titolo dei più comuni colori ( “Bianco”, “Nero”, “Blu”, “Rosso”, “Verde” ), si apre con dei versi dal richiamo programmatico: consegnare nella loro nudità, senza infingimenti, le parole dei bambini. “Dicono che esiste un Dio dei bambini / sono sicura che esiste. / Il Dio dei bambini / che non cancella le loro parole / che non dice che sono / bugie”. A quel “Dio dei bambini” Margherita Rimi ha giurato devozione sia come poeta, sia come neuropsichiatra infantile.

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