Lezioni di mafia da padre a figlio. E’ quanto emerge nelle intercettazioni nell’operazione dei carabinieri con la quale sono stati arrestati Giuseppe e Mario Carlo Guttadauro. Il padre gli diceva al figlio “Ti devi evolvere, hai capito?”, il potente ex aiuto primario dell’ospedale Civico diventato capomafia di Brancaccio negli anni Ottanta.

Un esortazione. “Il problema è rimanere con quella testa, ma l’evoluzione…”. Guttadauro aveva fatto una grande operazione di immagine da quando era stato scarcerato, nel 2012. Si era trasferito a Roma e si era messo a fare volontariato con un’associazione. In realtà, continuava a tessere la sua rete di relazioni. Grazie a un nuovo braccio operativo, il figlio Mario Carlo, che stanotte è stato arrestato insieme al padre che era appena rientrato dal Marocco.

Un’altra vecchia abitudine del “dottore”: coinvolgere i figli. Francesco (non indagato nell’ambito di questa indagine)

Ora, il “dottore” puntava a gestire nuovamente un grande ruolo criminale, anche nella Capitale. Mediando affari fra imprenditori, e persino facendosi carico della querelle fra una ricca signora romana e una banca. Intanto, progettava nuovi affari di droga. Le intercettazioni del Ros hanno sorpreso Giuseppe Guttadauro, mentre parlava di alcuni trafficanti calabresi: “Però mi secca dirglielo ai calabresi”. Di droga parlava pure il figlio Mario Carlo. Un amico gli chiedeva: “Pensi che ti controllano?”. E lui diceva: “Ma certo, ho il parente del mio parente che è il più importante latitante che c’è. Il secondo del mondo, il più importante che c’è in Italia”. Discutevano di uno “scarico a Rotterdam”. Dicevano: “Questi salgono 100 chili al mese. Allo scarico funziona così. Ci sono i doganieri, che prendono il 25 per cento”. E facevano cenno a un container.

I misteri di Guttadauro e del figlio. Il “dottore” si scagliava contro i nuovi mafiosi, ritenuti non all’altezza, e contro i collaboratori di giustizia. Andò su tutte le furie quando seppe del pentimento dei boss Francesco Colletti e Filippo Bisconti. Le dichiarazioni di quest’ultimo lo preoccupavano.

“Sopra la carta si canta la musica – diceva – in questo momento non sono qua, se il Signore vuole…”. E dispensava consigli a figli e complici. Come un tempo, quando dava lezioni di mafia a un giovane mafioso, Fabio Scimò, che puntava a diventare un capo. “Non puoi scendere a livello dei picciutteddi – diceva il maestro all’allievo – non va bene. Devi metterti a un livello diverso”. All’amico medico Salvatore Aragona confidava invece i suoi dubbi sugli omicidi eccellenti di Palermo.

“Ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare Dalla Chiesa… andiamo, parliamo chiaro…”. Aragona annuiva e parlava di un misterioso “orchestratore”. Discutevano delle decisioni del vertice mafioso, quando era retto da boss del calibro di Totò Riina e Bernardo Brusca. “Ma perché noi dobbiamo sempre pagare le cose…”, accennava Aragona. “E perché glielo dovevamo fare questo favore…”, rispondeva Guttadauro, che non perdeva occasione per criticare certe scelte di contrapposizione con lo Stato: quelle dell’82, quando la Cupola di Cosa nostra aveva ordinato ai suoi killer la strage Dalla Chiesa, e poi quelle del ‘92, quando la sentenza di morte aveva riguardato Falcone e Borsellino: “Non l’ho capito – insisteva Guttadauro – questo spingere determinate esasperazioni. Perché farci mettere nel tritacarne”.

Ben altre erano le strategie del capomafia di Brancaccio, fedele alla linea di Bernardo Provenzano. Guttadauro è da sempre uomo di mediazione e di relazioni segrete.

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