“Quest’aula bunker è uno dei primi simboli della resilienza dello Stato alla mafia. Qui nel 1986, per la prima volta, è stata processata e condannata la mafia in quanto tale. Così come i boss, attraverso le infiltrazioni, hanno isolato gli uomini delle istituzioni per colpirli, ora tocca a noi isolare i mafiosi, colpirli nella loro reputazione per sottrarre quel consenso sociale di cui hanno indebitamente goduto. Oggi occorre colpire le connivenze, ma allo stesso tempo agire sugli indifferenti, tanti, forse la stragrande maggioranza che ha preferito girare la faccia piuttosto che isolare gli uomini di cosa nostra”. Lo ha detto Antonello Cracolici, presidente della commissione siciliana Antimafia, intervenendo alla presentazione del report “Global organized crime Index” a cura della ong ‘Global Initiative against transnational organized crime (Gi-Toc)’, nell’aula bunker di Palermo.
All’iniziativa erano presenti, oltre ad alcuni studenti, la procuratrice generale della Corte d’Appello di Palermo, Lia Sava, il presidente del tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, il procuratore aggiunto Laura Vaccaro, Gioacchino Natoli, già presidente della corte d’Appello di Palermo, e Mark Shaw, direttore, Gi-Toc, ong che ha organizzato l’incontro.
Cosa ha valutato l’indice
L’indice ha valutato la capacità delle mafie di infiltrarsi nei vari continenti: secondo il report l’Italia, per la presenza di gruppi di stampo mafiosi, ha riportato uno dei punteggi più alti: 9 su 10. Allo stesso tempo il rapporto evidenzia come il nostro Paese si sia contraddistinto per indici di resilienza molto forti alla criminalità organizzata. Tra gli eventi globali presi in esame che hanno dato nuovo impulso alla criminalità organizzata, il report cita, oltre al covid, la cosiddetta “mafia dei pascoli”, cioè quel tentativo dei clan siciliani di mettere le mani sui fondi europei destinati all’agricoltura.
“Quella mafia ha utilizzato gli strumenti consentiti dalla legge per arricchirsi – ha aggiunto Cracolici – beffandosi delle leggi dello Stato e rivelando, così, un metodo organizzativo ben strutturato. Come commissione regionale antimafia non possiamo limitarci a un lavoro di acquisizione dei dati e conoscenza, ma dobbiamo costruire un’idea di antimafia sociale che fortifichi le istituzioni, a partire dai comuni, vere antenne del territorio”.
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