“Il dottor Guido Lo Forte nascose a Paolo Borsellino che il 13 luglio 1992 aveva firmato l’archiviazione dell’inchiesta su mafia e appalti. Mi oppongo alla richiesta della difesa di sentirlo in aula insieme a Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone“. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992, nel corso dell’udienza di oggi del processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta e vede imputati tre poliziotti.

“Testimonianza Pignatone e Scarpinato irrilevante”

“La testimonianza di Scarpinato non è rilevante – ha continuato il legale – perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo. Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati”.

L’affondo del genero di Borsellino

“Così come – ha detto Trizzino – è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile. Perché questo è un tema carissimo alla mia famiglia ma non è questa la sede. Se c’è la volontà di sviluppare questo tema basta il consenso ad acquisire due atti: l’ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte e la richiesta mandanti occulti bis”.

Vincenzo Scarantino

Vincenzo Scarantino

Le testimonianze di oggi al processo

“Nel primo interrogatorio di Vincenzo Scarantino al carcere di Pianosa il dottore Tinebra era presente. Ricordo un particolare: prima dell’interrogatorio noi parlammo nella stanza del direttore del carcere. Perché si era posto il problema di come evitare che i precedenti difensori di Scarantino potessero con lui conferire, ignorando la sua collaborazione, e per evitare anche il rischio che si conoscesse la sua collaborazione. E ricordo benissimo che in questa fase interlocutoria era presente il dottore Tinebra e che fu lui a sollevare il problema”. Lo ha detto l’avvocato Luigi Li Gotti, chiamato questa mattina a deporre nell’ambito del processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta.

Li Gotti rispondendo alle domande dell’avvocato della difesa Giuseppe Panepinto ha precisato “L’incarico di difensore di Vincenzo Scarantino lo assunsi nel giugno del 1994 – ha detto – e partecipai al primo interrogatorio al carcere di Pianosa, in agosto andai a Iesolo per un interrogatorio. Il giorno dopo ebbi problemi cardiaci e fui operato. Nell’autunno del 1994 rinunciai alla difesa di Scarantino. Penso che la mia nomina fosse una conseguenza della mia non preclusione ad assistere collaboratori di giustizia in un periodo in cui non era vista di buon grado anche nell’ambiente forense. C’era molta diffidenza, molta freddezza. Nel rispetto della mia deontologia dovevo fare il mio dovere e quindi mi fu comunicato che ero stato nominato dallo Scarantino”.

Imputati al processo, con l’accusa di calunnia aggravata, sono tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Secondo l’accusa, i tre poliziotti sotto processo avrebbero indotto, con le minacce e le pressioni, l’ex pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni.

A Scarantino promessi soldi

“Ho un ricordo molto vivo dell’interrogatorio a Pianosa: Scarantino parlava come un fiume in piena, non c’erano pause, era molto agitato. La seconda cosa che ricordo è che a un certo punto ci fu un’interruzione. Potei parlare con lui da solo e mi disse quello che gli era stato promesso, ossia 400 milioni di lire fuori dal carcere e in località protetta. Il mio dovere fu quello di dire a Scarantino che erano tutte frottole. Perché ciò che poteva avere dallo Stato era quello previsto dalla legge”. Lo ha detto l’avvocato Luigi Li Gotti, chiamato questa mattina a deporre al processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio.

Li Gotti ha aggiunto che “Scarantino, in un successivo momento, quando fece la ritrattazione, lo disse: l’unica persona che mi aveva detto la verità era l’avvocato Li Gotti”.

“Nessuna dritta”

“Nel corso dell’interrogatorio al carcere di Pianosa Scarantino parlava velocemente, non faceva pause, non gli furono dati suggerimenti anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale”, ha aggiunto Li Gotti.

“Nel viaggio di ritorno dal carcere di Pianosa, sull’elicottero, a parte il rumore (bisognava parlare con le cuffie), c’era molta stanchezza e quindi non si parlò affatto. A Ilda Boccassini e al dottore Petralia – precisa – non parlai dell’interrogatorio e non furono fatte osservazioni”.

L’avvocato Panepinto, nel corso dell’udienza, ha fatto notare al teste che le dichiarazioni fatte in precedenza erano differenti e che, in particolare, aveva sostenuto di essersi confrontato con i magistrati in merito alle sue perplessità su quanto detto da Scarantino. Li Gotti ha precisato che per viaggio aveva inteso anche quello dal carcere alla postazione dell’elicottero. “Che ci fosse un clima di perplessità sulle dichiarazioni di Scarantino era un fatto reale”, ha detto.

 

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