Si sposta verso Roma un pezzo dell’inchiesta sui favoreggiatori di Matteo Messina Denaro, il bosso catturato poco più di un anno fa e morto nell’ospedale de L’Aquila qualche mese dopo l’arresto.
Nella capitale bisogna verificare la veridicità di alcune sue affermazioni fatte durante gli interrogatori “C’erano anche delle tessere, carte di identità vuote. Credo ce ne fossero 20, o forse 15. Io ne ho sempre avute a quantità. Tutti i miei documenti vengono da Roma perchè a Roma ci sono documenti per chiunque, documenti seri. C’è una strada in cui vanno tutti”. e’ quello che dice Matteo Messina Denaro, interrogato il 7 luglio scorso dai pm palermitani, parla dei documenti falsi usati durante la latitanza smentendo di esserseli procurati attraverso i suoi favoreggiatori trapanesi e indicando in un non ben precisato falsario romano la fonte delle sue carte di identità taroccate. Il verbale di interrogatorio, però, è stato depositato solo nei primi giorni di febbraio.
L’atteggiamento del boss è ondivago, alternava piccole aperture nei confronti dei Pm a chiusure nette e totali verso gli stessi investigatori.
“Il mio mondo trasfigurato”
“Il mio mondo viene trasfigurato, non una metamorfosi normale, proprio una cosa indecente”. Esprimeva il proprio disprezzo verso le nuove leve di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. E’ l’ultimo incontro dl boss con i magistrati. Il capomafia morirà due mesi dopo. Il verbale dell’interrogatorio è stato depositato ieri. “Non potete mettere menomati mafiosi, senza voler offendere i menomati, – spiega – quando cominciate a prendere basse canaglie, gente a cui non rivolgevo nemmeno il saluto e li arrestate per mafiosità, allora in quel momento il mio mondo è finito, raso al suolo”. Messina Denaro fa anche i nomi dei nuovi boss che disprezza: come Gino u mitra, Gino Abbate, boss palermitano della Kalsa. “Fa più schifo – dice il capomafia – di qualcuno che lo ha generato e lo fate passare per mafioso?”. “I veri mafiosi sono altri, sono in giro”, conclude.
“Parlare? Mai dire mai”
Si parlò anche di una possibile collaborazione. “Non sono interessato, poi nella vita mai dire mai intendiamoci. Io non sono stato mai un assolutista nel senso che non è che perché dico una cosa sarà sempre quella, io nella mia vita ho cambiato tante volte idea, però con delle basi solide…”. Guido che lo invitava a contribuire “a ricostruire dei pezzetti di verità”.
“Che siano pezzi di verità che siano, come dire… che ci diano la possibilità di dire, anche a noi ‘Questa è verità'”, spiega Guido che più volte, pur puntualizzando che non si sta parlando di invito al pentimento, esorta il capomafia a parlare coi magistrati. Insieme all’aggiunto a interrogare il boss c’erano i pm Piero Padova e Gianluca De Leo.
“Pezzetti di verità – aggiunge il magistrato – che ci dirà lei e che le consentiranno di… anche di essere più sereno, rispetto alla sua storia, rispetto a questa schifezza che l’ha circondata prima e dopo e fino a qualche giorno fa. Questa è la nostra, diciamo… il nostro invito a riflettere…” “Sono alla fine della mia vita, ma il punto è io non sono il tipo di persona – e mi creda che è la verità, non me ne può fottere più niente – non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell’omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio modo, mi spiego??”, dirà in un altro passaggio dell’interrogatorio.
Dunque c’è da verificare quanto div ero ci sia nelle piccole aperture, nelle affermazioni fatte, e quanto sia, invece, depistante
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