Il boss di Misilmeri, Michele Sciarabba, non ne voleva sapere di organizzare summit con i capi mafia delle cosche palermitane. Non perché non ci andasse d’accordo ma semplicemente perché era ossessionato dalle intercettazioni e le microspie. Troppo rischioso per lui tornare in prima fila in maniera così evidente e trattare con i vertici di cosa nostra. Le intercettazioni emerse dall’operazione antimafia “Fenice”, che ha disarticolato la cosca di Misilmeri, restituiscono questo quadro. Sciarabba, scarcerato dopo 7 anni per associazione mafiosa e che aveva ancora la sorveglianza speciale, sapeva benissimo che aveva gli occhi puntati addosso. E per questo aveva scelto i fedelissimi a cui affidare certi compiti per lui figurare, ma solo apparentemente, sulle retrovie.

Il “no” ai clan Palermitani

Sciarabba ha detto “no” all’emissario di ben due esponenti di mandamento. Viene fuori dalle intercettazioni in cui si vede e si sente Massimiliano D’Ambrogio, ritenuto l’ambasciatore di due pezzi da novanta come Ignazio Traina e Massimo Mulè, considerati membri rispettivamente dei mandamenti mafiosi di Villagrazia e Porta Nuova. Sciarabba, consapevole dei rischi che un incontro con personaggi di tale spessore criminale potesse comportare, declinava l’invito. D’Ambrogio contatta quindi Sciarabba per vedersi e lui risponde: “Chi te l’ha detto?… Noo! Noo!”.

L’egemonia del boss

Al di là del summit saltato questi dialoghi. Secondo la procura, sono inequivocabili: “Evidente, al di là della circostanza che la riunione si sia svolta o meno, il dato del contatto con personaggi mafiosi di tale calibro che denota, in capo a Sciarabba, il suo peso mafioso e la sua piena intraneità al sodalizio”.

Il fedelissimo

Sciarabba però si attorniava di fedelissimi. Uno di questi era senza dubbio, secondo gli investigatori, Alessandro Ravesi, palermitano di 45 anni, tra i 6 indagati di questa operazione antimafia. Con lui gli incontri c’erano. Ravesi sarebbe stato colui il quale in tandem con Sciarabba, avrebbe composto la fazione che dominava il territorio di Misilmeri e Belmonte Mezzagno. Ravesi era “tipetto” niente male. Anche lui era stato scarcerato da poco dopo la condanna irrevocabile per associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, finito in manette nella operazione antimafia “Jafar” del 2013. I loro incontri erano in bar o comunque in luoghi pubblici. Bastava un cenno della testa di Sciarabba per capire quel che si doveva fare e dove incontrarsi.

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