Niente mani che si stringono nell’ultimo saluto, nessun abbraccio, nessuna promessa.
Ai tempi del Coronavirus si muore da soli, in ospedale, in camere super sigillate alle quali solo i sanitari hanno accesso.
E non importa essere anziani o giovani, credenti o meno.
Si abbandona questa vita per una ‘destinazione’ misteriosa in assoluta solitudine.
I malati di Covid-19 non possono essere assistiti dai loro cari durante la degenza, impossibile avere accesso ai reparti dove si consuma una quotidiana lotta tra la vita e la morte.
Questo virus spietato e maledetto che scienziati di tutto il mondo stanno cercando di combattere, ha sovvertito anche alcune delle regole più elementari del nostro essere ‘umani’. Sono oltre 21mila le persone morte nel mondo, tutte sole, semplicemente avvolte in un lenzuolo.
Nemmeno la consolazione di scegliere il vestito più bello che il nostro amato congiunto avrebbe voluto indossare, o truccargli il viso, come è consuetudine in alcune famiglie o paesi. Vietato celebrare funerali.
Morti cremati o seppelliti velocemente, nei cimiteri dove per ‘fortuna’ c’è ancora posto, e spesso lontano da casa.
Le immagini dei camion dell’Esercito che portano via da Bergamo le bare verso altri cimiteri, perché nella cittadina lombarda non c’è più posto per i morti falcidiati dal Coronavirus hanno fatto il giro del mondo. Ingiuste e strazianti, come una fucilata in pieno petto. Ma così è.
Sono giorni lunghi, di incertezza e paure. Cosa resterà alla fine di tutto questo?
Ce lo chiediamo, senza avere risposta.
“E’ come il diluvio universale”, ha detto a Pagine Ebraiche Liliana Segre, la senatrice a vita che da ragazzina ad Auschwitz ha imparato a conoscere bene la morte ed il dolore.
La paura più grande per tutti, è proprio quella di morire senza nessuno vicino.
E’ la sorte toccata a chi il Covid-19 non è riuscito a sconfiggerlo.
In Rianimazione, attaccate ad un ventilatore, sono oltre 7500 in Italia le persone che si sono congedate dalla vita così. Da sole.
E a rendere ancora più dolorosa questa constatazione, sono le testimonianze di medici ed infermieri impegnati in prima linea nella lotta al Coronavirus.
Come quella di Francesca Cortellaro, primario del pronto soccorso dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, che a Il Giornale ha raccontato: “Sai qual è la sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire da soli, ascoltarli mentre t’implorano di salutare figli e nipotini. I pazienti Covid-19 entrano soli, nessun parente lì può assistere e quando stanno per andarsene lo intuiscono. Sono lucidi, non vanno in narcolessia. È come se stessero annegando, ma con tutto il tempo di capirlo. L’ultimo è stato stanotte. Lei era una nonnina, voleva vedere la nipote. Ho tirato fuori il telefonino e gliel’ho chiamata in video. Si sono salutate. Poco dopo se n’è andata. Ormai ho un lungo elenco di video-chiamate. La chiamo lista dell’addio. Spero ci diano dei mini iPad, ne basterebbero tre o quattro, per non farli morire da soli”.
Ecco. Una “lista dell’addio” che purtroppo diventa sempre più lunga.
Ai parenti dei deceduti non resta che il dolore, il vuoto causato da una pandemia che ci ha espropriato delle nostre abitudini, in alcuni casi degli affetti più cari.
Ce lo chiediamo nuovamente. Come saremo diventati alla fine di quello che sembra un incubo dal quale vorremmo tutti svegliarci immediatamente?
Non lo sappiamo. Adesso è il tempo della riflessione ma anche della speranza e della responsabilità.
Ciascuno faccia la propria parte, restando a casa, rispettando le regole anti contagio.
E per chi vive nel dolore di un distacco, restano, per fortuna, i ricordi. Quelli belli del tempo trascorso insieme, che diventano lezione, per tutti, a non sprecarlo quel tempo.
Finirà tutto questo. Abbiamo bisogno di crederci e di sentircelo ripetere.
Finirà la pandemia, la scienza riuscirà a sconfiggerla. E allora apprezzeremo di più, si spera, tutto quanto ci circonda e questa nostra esistenza.
Scriveremo nuove pagine del libro della vita, torneremo alla nostra quotidianità ma con una nuova consapevolezza che diventa quasi un obbligo: non permettere a quanto accaduto di lasciarci incattivire, non permettere al dolore di piegarci. Andare avanti, sempre, adoperandoci per fare, di questa nostra nostra esistenza, un’avventura straordinaria nonostante quanto accaduto.
(foto tratta dal web)
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