“Ma cosa è questo mafiare, la mafia non esiste” diceva alla fine degli anni ’80 Michele Greco, il Papa di Cosa Nostra, nell’unico giorno passato da uomo libero dopo il suo arresto per effetto di un pronunciamento della Cassazione a cui poi si rimediò con un decreto legge che cambiò che riportò in carcere  molti boss.

Ma la mafia esiste ed oggi è egemone negli affari italiani e non solo, tanto che secondo la Dda di Milano ormai si può parlare di una “super mafia” sorta da un sodalizio inedito fra famiglie di tante mafie. Così gli inquirenti mettono le microspie, fotografano gli incontri degli emissari dei boss siciliani, campani, calabresi e riprendono anche le grandi ‘manciate’ in stile agricolo siciliano. Ma non siamo in Sicilia ne a Napoli. Siamo a Milano e qui a governare tutto sono gli affari.

L’era delle federazioni anche nella criminalità

Siamo, dunque, nell’era delle federazioni e anche la mafia ha deciso che federarsi è il modo migliore per fare affari. Così la federazione milanese delle mafia raccoglie praticamente tutti. Si va dalla cosca Iamonte alla famiglia Romeo di San Luca, al “gruppo Senese” con addentellati a Napoli e nella Capitale fino agli emissari dei palermitani Gaetano Fidanzati, dei nisseni Rinzivillo e dei “trapanesi” collegati al mandamento di Castelvetrano, un tempo guidato da Matteo Messina Denaro.

Tra questi ultimi figura anche Paolo Aurelio Errante Parrino, che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il “punto di raccordo” tra il presunto “sistema mafioso” in Lombardia e il boss Matteo Messina Denaro, che è anche suo cugino, morto a settembre. Gli avrebbe trasferito, secondo il pm, “comunicazioni relative ad argomenti esiziali” mentre era latitante.

Il Gip non ci crede

Eppure Parrino è nella lista delle 142 persone che il giudice per le indagini preliminari che ieri ha disposto il carcere per sei persone accusate sempre dalla Dda di narcotraffico, per le quali non ha concesso le misure restrittive della libertà.

Non ci sono prove ma solo “suggestioni” per “affermare” che, anche dopo la prima condanna del 1997, abbia mantenuto “il suo rapporto di affiliazione” ai castelvetranesi, “né tantomeno all’associazione lombarda”.

L’associazione mafiosa delle mafie per il gip, in sostanza, non esiste: dall’analisi degli atti non è emersa la costituzione di “un’organizzazione stabile” con “un programma criminoso comune, protratto nel tempo” e una ripartizione “di compiti tra gli associati” in grado “di infiltrarsi nel territorio, di sfruttare la condizione di omertà diffusa, di limitarsi, se del caso a lanciare avvertimenti anche simbolici o indiretti in ambiti politici, amministrativi, imprenditoriali”. Inoltre, “non è stato individuato alcun atto di intimidazione”, né “alcuna forma di violenza e minaccia” e “persino gli episodi estorsivi, così come la disponibilità di armi (…) sono stati, oltre che limitati nel numero e qualitativamente non ‘gravi’, se contestualizzati in un’associazione di stampo mafioso, per lo più indimostrati”.

Non ci sono capi e nemmeno intimidazioni

In più, mancano elementi sufficienti per sostenere che alcuni degli indagati abbiano avuto “il ruolo di promotori o capi, dovendosi piuttosto escludere che qualcuno di loro goda di un potere ed una autorità tali da poter impartire ordini a membri di gruppi diversi da quello proprio di appartenenza”. Da qui solo pochi arresti per qualche reato, come traffici di droga ed estorsioni, al massimo con l’aggravante mafiosa. In ultima analisi nel provvedimento, con cui è stato disposto il sequestro di beni per un valore di oltre 225 milioni di euro, si sottolinea che i “plurimi soggetti radicati sul territorio lombardo, alcuni dei quali imparentati o comunque vicini ad esponenti di cosche presenti in altre regioni (..) non si sono fusi in un organismo collettivo”. Una lettura di cui, fanno sapere al quarto piano del Palazzo di Giustizia, “è stato preso atto con serenità e rispetto, ma che non condividiamo”. Ora la parola passa al Riesame.

La Procura ricorrerà e continua a indagare su tutti

La Dda di Milano nella nuova inchiesta sulla cosiddetta “super mafia” aveva chiesto in totale misure cautelari per 154 persone, di cui il carcere per 87, i domiciliari per 33 e per 34, invece, ha proposto l’obbligo di firma. Il gip, che ha bocciato l’impianto accusatorio, ha disposto il carcere solo per 11 indagati, senza riconoscere l’esistenza di una confederazione di mafie. Nel frattempo, la Procura ha chiuso le indagini, sempre mantenendo le ipotesi d’accusa, nei confronti di 153 persone, in quanto una di queste è morta.

Bufera sul Gip ma il controllo è necessario

“Il controllo del gip, lungi dal dover essere classificato come patologia, evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisdizionale, in un sistema organizzativo e tabellare che impone il rispetto del principio del giudice naturale” indicato “secondo criteri oggettivi e predeterminati e non è scelto secondo criteri preferenziali” dice, adesso in una nota, il Presidente facente funzione del Tribunale di Milano, Fabio Roia, rispondendo alle critiche sulla decisione con cui il gip Tommaso Perna ha respinto 142 misure cautelari avanzate dalla Dda nell’inchiesta sulla “super mafia” .

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