Nuovi dettagli e l’ombra dei servizi segreti deviati nel giallo del Delitto Agostino. Un mistero lungo più di 30 anni quello del duplice omicidio del 5 agosto 1989, con la morte di Nino Agostino e Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini (PA).

L’anno scorso la Procura Generale di Palermo ha avocato l’inchiesta: grazie ai nuovi elementi di prova raccolti dalla DIA, si è aperto nel 2020 il processo. Il primo, con rito abbreviato, si è concluso quest’anno con la condanna all’ergastolo del boss Nino Madonia. L’altro, col rito ordinario, è in corso e vede imputati il boss dell’Arenella Gaetano Scotto (uomo dei misteri, considerato dagli inquirenti il trait d’union tra mafia e 007 deviati) e Francesco Paolo Rizzuto (all’epoca 15enne), amico della vittima, che risponde di favoreggiamento. La pubblica accusa è rappresentata dai pg Nico Gozzo e Umberto De Giglio.

Le nuove testimonianze

Ieri in Aula sono emerse nuove importanti testimonianze: quelle delle sorelle di Nino, Flora (all’epoca dei fatti quasi 18enne) e Annunziata (detta Nunzia, all’epoca 24enne), dinanzi alla Corte di assise presieduta da Sergio Gulotta. Testimonianze ricche di pathos e commozione, con le sorelle che hanno pianto nel momento in cui hanno dovuto ripercorrere gli ultimi istanti di quella giornata. Gli ultimi respiri del fratello che in realtà era un cacciatore di latitanti per conto del Sisde. Ma non solo: Nino Agostino era impegnato segretamente nella protezione di Alberto Volo, ex estremista di destra, fonte di Giovanni Falcone, a cui avrebbe confermato la pista neofascista per l’omicidio di Piersanti Mattarella.

L’ombra dei Servizi deviati

L’ombra dei Servizi (deviati) e i depistaggi alle indagini, le “missioni” sotto copertura: aveva “intuito” tutto questo Carlo Palermo, ex pm antimafia nel gennaio 1993, legale di Nunzia Agostino. Una “intuizione” messa per iscritto nel gennaio 1993, con la quale si opponeva dinanzi al gip di Palermo, alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Che accadde dopo quella memoria?

“Ci fu la reazione – ha detto ieri Nunzia Agostino – del legale che in quel periodo assisteva i miei genitori, l’avvocato Vincenzo Gervasi che disse a mio padre di riferirmi che dovevo revocare il mandato difensivo all’avvocato Palermo perché in nessun modo dovevano essere coinvolti i Servizi segreti nell’omicidio di mio fratello. Aggiunse pure, mi disse mio padre, che se io avessi continuato con questa pista con l’avvocato Palermo a mio fratello gli avrebbero accollato l’omicidio del piccolo Claudio Domino”. Fu così che Nunzia revocò a malincuore il mandato a Carlo Palermo.

Il delitto Domino: 35 anni di mistero

Parole pesantissime, inedite, che tirano in ballo un altro delitto irrisolto in cui ci sarebbe pure lo zampino di Servizi deviati e di “faccia da mostro”, alias Giovanni Aiello. Stiamo parlando del caso dell’11enne Claudio Domino, ucciso il 7 ottobre 1986, con un colpo di pistola alla testa. Domani sarà il 35° anniversario e la madre Graziella Accetta da anni si batte per la ricerca della verità.

All’epoca la sua ditta, “La Splendente”, aveva vinto l’appalto delle pulizie dell’aula bunker Ucciardone durante il Maxiprocesso. Il delitto del bambino fa scalpore, i mafiosi si dissociano per bocca di Bontate: “Noi condanniamo questo barbaro delitto che provoca accuse infondate anche verso gli imputati di questo processo”. Con quel “noi”, per la prima volta, Bontate ammette l’esistenza di Cosa nostra, fino a quel momento sempre negata. Il delitto resta -ad oggi- un buco nero anche se molti pentiti hanno tirato in ballo Aiello, ormai morto.

Il sangue di Nino e Ida

Chiusa la parentesi Domino, torniamo al delitto Agostino. “Ho sentito un botto, poi le urla di mia cognata Ida, altri spari. Mio fratello in una pozza di sangue, Ida accasciata… L’indomani avrei compiuto 18 anni e di sera avremmo festeggiato con tutta la famiglia. È stata l’ultima volta che ho visto Nino e Ida”. Flora Agostino, oggi cinquantenne, ha raccontato in Aula il suo ricordo di quei tragici momenti.

Poi è il turno della sorella Nunzia: “Io non ho visto i killer, non ho fatto in tempo ad arrivare sulla strada. Ero pietrificata dinanzi al corpo di mio fratello e di Ida. Mio fratello Salvatore ha visto fuggire due uomini, uno scuro e uno chiaro, su una moto in direzione Palermo”.

Le accuse all’ex amico Paolotto

Ciò che colpisce di questo delitto è il ruolo del 15enne, Francesco Paolo Rizzuto (oggi 47 enne) detto Paolotto. Chi era? “Un amico di mio fratello Nino, andavano insieme a pescare”, raccontano le sorelle Agostino.

Nunzia Agostino ha rivelato un dettaglio importante, anche se per lei si tratta solo di un rapido flash, un ricordo non nitido: la presenza di Francesco Paolo Rizzuto quel giorno proprio riverso sul cadavere: “Ho un flash di quei momenti tragici: Paolotto (Francesco Paolo Rizzuto, ndr) che si avvicina al cadavere di mio fratello, urlando il suo nome piangendo. Ma è un flash, non è un ricordo molto nitido”. Un flash, tutto da verificare, che sembrerebbe però combaciare con una delle prove raccolte dalla DIA.

La maglietta piena di sangue

Un elemento “di notevole rilievo investigativo” è dato da un’intercettazione ambientale del 27 maggio 2018, tra Rizzuto e un uomo non identificato. In essa è lo stesso Rizzuto ad affermare che la maglietta da lui indossata era piena di sangue: “Tanno la magliettina mia tutta china china i sangue… capisti?”. E il misterioso interlocutore non identificato aggiunge: “…va bè ma tu ci dasti aiuto…”. E Rizzuto: “Io ci dissi ca io un c’era… scappavo…”, precisando che si era levato la maglietta, che era stata presa e portata via da qualcuno: “…ddà ni so patri, puoi a pigghiò e sa purtò”. Non si sa chi portò via questa maglietta.

Ecco il quadro di accuse della Procura contro Rizzuto, all’epoca minorenne: «Al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Nino ad una battuta di pesca»; in più occasioni avrebbe «reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Tramite intercettazioni, invero, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti. Per tale motivo Francesco Paolo Rizzuto è stato iscritto dall’A.G. per favoreggiamento personale aggravato».

Le altre prove

Tra le altre prove, la testimonianza del pentito Francesco Marino Mannoia che a soli 76 giorni dal delitto, “aveva riferito spontaneamente alcune circostanze, attinenti all’omicidio Agostino, che gli erano state raccontate da sua moglie Rosa Vernengo. Cosimo Rizzuto (padre di F.sco Paolo, ndr) era solito andare a pesca con quell’agente di Polizia recentemente ucciso a Palermo (Agostino, ndr); anzi mi ha riferito, ma non so se ciò sia vero, che all’omicidio avrebbe assistito il più grande dei figli di Cosimo Rizzuto, a nome Paolo…”. Dichiarazioni poi confermate nell’interrogatorio di 29 anni dopo (il 18 maggio 2018). Ma anche un’intercettazione video alla DIA con il padre di Rizzuto che “aveva portato il dito indice al naso, con il chiaro intento di intimare al figlio di non parlare” del delitto Agostino.

Talpe e traditori

Tornando alla memoria dell’avvocato Carlo Palermo, ci sarebbero alcuni riferimenti al fallito attentato all’Addaura nei confronti di Giovanni Falcone, le “missioni per naschiare (indagare, ndr) a Trapani”, dove esisteva una struttura dei Servizi. Il Centro Scorpione, sede di Gladio. Gladio su cui indagava Giovanni Falcone. Quando Roberto Scarpinato richiama Alberto Volo a testimoniare, nel 2016, l’ex preside intercettato al telefono dice che si tratta di cose vecchissime, di quando era “in Gladio e nei servizi”, e che Agostino lo conosceva “perfettamente”. Di recente è emerso che due utenze telefoniche riconducibili a Giovanni Aiello, alias “faccia da mostro”, sono state contattate da cellulari istituzionali intestati all’Aeronautica militare e al Decimo Reggimento Trasmissioni. Un giallo.

Agostino, agente di polizia formalmente assegnato alle Volanti, collaborava con i Servizi segreti alle indagini per la cattura dei grandi latitanti di mafia. Insieme a Emanuele Piazza, anche lui assassinato, Giovanni Aiello, morto d’infarto nel 2017, Guido Paolilli, agente di polizia e ad altri componenti allora di vertice dei Servizi di sicurezza, avrebbe fatto parte di una struttura di intelligence che teneva rapporti con alcuni esponenti di Cosa nostra, in vicolo Pipitone. Rapporti, secondo l’accusa, opachi.

I dubbi su Paolilli e La Barbera

La famiglia Agostino ha citato Paolilli, chiedendo 50mila euro di risarcimento all’ex poliziotto, indagato per favoreggiamento in concorso aggravato nel 2008, procedimento poi archiviato per prescrizione. Non sopportano che Paolilli sia riuscito, avvalendosi della prescrizione, a non pagare per quello che ha fatto, distruggendo i documenti trovati a casa di Nino.

Paolilli, oggi in pensione, amico di Bruno Contrada, aveva accettato tempo fa di parlare con un giornalista, Walter Molino, di “Servizio Pubblico”, e aveva detto che Aiello vendeva informazioni alla mafia. Era emersa una intercettazione ambientale in cui lui stesso Paolilli ammetteva al figlio di  aver distrutto “una freca di carte che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”, riferendosi ai documenti nascosti nell’armadio di Nino Agostino.

Dopo il delitto Agostino, l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera, chiama Paolilli e da Pescara lo fa scendere a Palermo per effettuare le indagini. Dopo la perquisizione dell’armadio fatta da Paolilli si interruppe l’amicizia con gli Agostino. Il padre di Nino, Vincenzo Agostino, più volte lo ha accusato di depistaggio. Specialmente dopo un video ripreso con una telecamera nascosta che venne trasmesso in tv.

Paolilli, allora allarmato, chiamò a Bruno Contrada, dicendo “di averla fatta grossa questa volta, un’intervista che non era una intervista, mi sono lasciato andare perché pensavo che quelle cose là morivano senza registrazione”. Era l’11 maggio 2014. E Contrada: “Cosa hai detto?”. Paolilli: “Ho parlato di quell’Aiello che prendeva dentro e portava fuori”. “Per quale motivo le hai dette?”, chiesa Contrada.

La Barbera, a libro paga Sisde con nome in codice Rutilius, spingerà poi sulla pista passionale facendo emergere per la prima volta la figura di Vincenzo Scarantino. Una sorta di prova generale del depistaggio, che tre anni dopo verrà messo in scena con successo per via D’Amelio.

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