Nuovi dettagli e l’ombra dei servizi segreti deviati nel giallo del Delitto Agostino. Un mistero lungo più di 30 anni quello del duplice omicidio del 5 agosto 1989, con la morte di Nino Agostino e Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini (PA).
L’anno scorso la Procura Generale di Palermo ha avocato l’inchiesta: grazie ai nuovi elementi di prova raccolti dalla DIA, si è aperto nel 2020 il processo. Il primo, con rito abbreviato, si è concluso quest’anno con la condanna all’ergastolo del boss Nino Madonia. L’altro, col rito ordinario, è in corso e vede imputati il boss dell’Arenella Gaetano Scotto (uomo dei misteri, considerato dagli inquirenti il trait d’union tra mafia e 007 deviati) e Francesco Paolo Rizzuto (all’epoca 15enne), amico della vittima, che risponde di favoreggiamento. La pubblica accusa è rappresentata dai pg Nico Gozzo e Umberto De Giglio.
L’ombra dei Servizi (deviati) e i depistaggi alle indagini, le “missioni” sotto copertura: aveva “intuito” tutto questo Carlo Palermo, ex pm antimafia nel gennaio 1993, legale di Nunzia Agostino. Una “intuizione” messa per iscritto nel gennaio 1993, con la quale si opponeva dinanzi al gip di Palermo, alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Che accadde dopo quella memoria?
“Ci fu la reazione – ha detto ieri Nunzia Agostino – del legale che in quel periodo assisteva i miei genitori, l’avvocato Vincenzo Gervasi che disse a mio padre di riferirmi che dovevo revocare il mandato difensivo all’avvocato Palermo perché in nessun modo dovevano essere coinvolti i Servizi segreti nell’omicidio di mio fratello. Aggiunse pure, mi disse mio padre, che se io avessi continuato con questa pista con l’avvocato Palermo a mio fratello gli avrebbero accollato l’omicidio del piccolo Claudio Domino”. Fu così che Nunzia revocò a malincuore il mandato a Carlo Palermo.
All’epoca la sua ditta, “La Splendente”, aveva vinto l’appalto delle pulizie dell’aula bunker Ucciardone durante il Maxiprocesso. Il delitto del bambino fa scalpore, i mafiosi si dissociano per bocca di Bontate: “Noi condanniamo questo barbaro delitto che provoca accuse infondate anche verso gli imputati di questo processo”. Con quel “noi”, per la prima volta, Bontate ammette l’esistenza di Cosa nostra, fino a quel momento sempre negata. Il delitto resta -ad oggi- un buco nero anche se molti pentiti hanno tirato in ballo Aiello, ormai morto.
Chiusa la parentesi Domino, torniamo al delitto Agostino. “Ho sentito un botto, poi le urla di mia cognata Ida, altri spari. Mio fratello in una pozza di sangue, Ida accasciata… L’indomani avrei compiuto 18 anni e di sera avremmo festeggiato con tutta la famiglia. È stata l’ultima volta che ho visto Nino e Ida”. Flora Agostino, oggi cinquantenne, ha raccontato in Aula il suo ricordo di quei tragici momenti.
Poi è il turno della sorella Nunzia: “Io non ho visto i killer, non ho fatto in tempo ad arrivare sulla strada. Ero pietrificata dinanzi al corpo di mio fratello e di Ida. Mio fratello Salvatore ha visto fuggire due uomini, uno scuro e uno chiaro, su una moto in direzione Palermo”.
Ciò che colpisce di questo delitto è il ruolo del 15enne, Francesco Paolo Rizzuto (oggi 47 enne) detto Paolotto. Chi era? “Un amico di mio fratello Nino, andavano insieme a pescare”, raccontano le sorelle Agostino.
Un elemento “di notevole rilievo investigativo” è dato da un’intercettazione ambientale del 27 maggio 2018, tra Rizzuto e un uomo non identificato. In essa è lo stesso Rizzuto ad affermare che la maglietta da lui indossata era piena di sangue: “Tanno la magliettina mia tutta china china i sangue… capisti?”. E il misterioso interlocutore non identificato aggiunge: “…va bè ma tu ci dasti aiuto…”. E Rizzuto: “Io ci dissi ca io un c’era… scappavo…”, precisando che si era levato la maglietta, che era stata presa e portata via da qualcuno: “…ddà ni so patri, puoi a pigghiò e sa purtò”. Non si sa chi portò via questa maglietta.
Ecco il quadro di accuse della Procura contro Rizzuto, all’epoca minorenne: «Al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Nino ad una battuta di pesca»; in più occasioni avrebbe «reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Tramite intercettazioni, invero, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti. Per tale motivo Francesco Paolo Rizzuto è stato iscritto dall’A.G. per favoreggiamento personale aggravato».
Tornando alla memoria dell’avvocato Carlo Palermo, ci sarebbero alcuni riferimenti al fallito attentato all’Addaura nei confronti di Giovanni Falcone, le “missioni per naschiare (indagare, ndr) a Trapani”, dove esisteva una struttura dei Servizi. Il Centro Scorpione, sede di Gladio. Gladio su cui indagava Giovanni Falcone. Quando Roberto Scarpinato richiama Alberto Volo a testimoniare, nel 2016, l’ex preside intercettato al telefono dice che si tratta di cose vecchissime, di quando era “in Gladio e nei servizi”, e che Agostino lo conosceva “perfettamente”. Di recente è emerso che due utenze telefoniche riconducibili a Giovanni Aiello, alias “faccia da mostro”, sono state contattate da cellulari istituzionali intestati all’Aeronautica militare e al Decimo Reggimento Trasmissioni. Un giallo.
La famiglia Agostino ha citato Paolilli, chiedendo 50mila euro di risarcimento all’ex poliziotto, indagato per favoreggiamento in concorso aggravato nel 2008, procedimento poi archiviato per prescrizione. Non sopportano che Paolilli sia riuscito, avvalendosi della prescrizione, a non pagare per quello che ha fatto, distruggendo i documenti trovati a casa di Nino.
Dopo il delitto Agostino, l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera, chiama Paolilli e da Pescara lo fa scendere a Palermo per effettuare le indagini. Dopo la perquisizione dell’armadio fatta da Paolilli si interruppe l’amicizia con gli Agostino. Il padre di Nino, Vincenzo Agostino, più volte lo ha accusato di depistaggio. Specialmente dopo un video ripreso con una telecamera nascosta che venne trasmesso in tv.
Paolilli, allora allarmato, chiamò a Bruno Contrada, dicendo “di averla fatta grossa questa volta, un’intervista che non era una intervista, mi sono lasciato andare perché pensavo che quelle cose là morivano senza registrazione”. Era l’11 maggio 2014. E Contrada: “Cosa hai detto?”. Paolilli: “Ho parlato di quell’Aiello che prendeva dentro e portava fuori”. “Per quale motivo le hai dette?”, chiesa Contrada.
La Barbera, a libro paga Sisde con nome in codice Rutilius, spingerà poi sulla pista passionale facendo emergere per la prima volta la figura di Vincenzo Scarantino. Una sorta di prova generale del depistaggio, che tre anni dopo verrà messo in scena con successo per via D’Amelio.