La Dda di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio delle 35 persone coinvolte, lo scorso 6 settembre, nell’operazione antimafia dei carabinieri di Trapani “Hesperia”. La prima udienza preliminare, davanti al gup di Palermo Ermelinda Marfia, si terrà il prossimo 2 febbraio.

Nel blitz sono state arrestate 33 persone: 21 in carcere e 12 ai domiciliari. Tra loro, molti nomi noti della criminalità organizzata di Marsala, Campobello di Mazara e Castelvetrano, ma anche volti nuovi. Tra i nomi di spicco quello del campobellese Francesco Luppino, 67 anni, uscito dal carcere poco più di tre anni fa dopo aver scontato una lunga condanna per mafia, secondo l’accusa si sarebbe rimesso all’opera per ricostituire la rete di relazioni di Cosa nostra tra Campobello di Mazara, Mazara, Castelvetrano e Marsala.

Le accuse

Le accuse a vario titolo contestate agli indagati sono associazione di tipo mafioso, estorsione, turbata libertà degli incanti (nelle aste al Tribunale di Marsala), reati in materia di stupefacenti, porto abusivo di armi, gioco d’azzardo e altro, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. L’indagine nasce dagli sforzi investigativi diretti alla cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. A lui farebbero riferimento gli elementi di primo piano di Cosa nostra trapanese coinvolti nell’indagine.

Secondo gli investigatori, anzi, Messina Denaro sarebbe ancora in grado di dare “direttive” per la riorganizzazione della cosca. Le indagini testimoniano, inoltre, anche l’attività di infiltrazione di cosa nostra trapanese nel tessuto economico, con riferimento a condizionamenti di aste giudiziarie e gare d’appalto e, alla gestione, in forma pressoché monopolistica, del settore della sicurezza nei locali notturni e del recupero crediti.

Il ruolo di Matteo Messina Denaro

Il monitoraggio delle famiglie mafiose di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Marsala, nelle loro espressioni di vertice ha fatto emergere, in primo luogo, la figura di un uomo d’onore campobellese che, recentemente scarcerato e già protagonista in passato di importanti dinamiche riguardanti i rapporti dell’area trapanese con esponenti di vertice di cosa nostra palermitana, secondo quanto ritenuto dal gip, sarebbe gravemente indiziato di esprimere una costante e trasversale autorevolezza nell’ambito di dinamiche intermandamentali, anche esterne alla provincia di Trapani.

L’uomo avrebbe avuto comunicazioni da parte del capo mafia di Castelvetrano per stabilire i vertici della famiglia come il reggente della decina di Petrosino e chiesto conto circa la nomina del reggente dell’importante mandamento di Mazara del Vallo che era rimasto vacante dopo l’operazione Anno Zero.

Le indagini hanno anche permesso di ricostruire la successione al vertice di cosa nostra marsalese, individuando i soggetti allo stato gravemente indiziati di rivestire il ruolo di reggenti e documentandone le interlocuzioni con il più volte citato esponente mafioso campobellese.

Il ruolo del boss di Campobello di Mazara

L’indagine ruota attorno a Francesco Luppino che era stato scarcerato dopo l’ennesima condanna e avava ricominciato a tessere le fila nel mandamento di Campobello Di Mazara.

Secondo gli investigatori è uno degli uomini di punta di Messina Denaro. Nel corso delle indagini del Ros sono stati ricostruiti anche rapporti tra mafiosi che vanno al di la della provincia d Trapani. Rapporti con la cosa nostra palermitana, agrigentina e catanese nel cui ambito i trapanesi venivano indicati come “quelli che appartengono a Matteo Messina Denaro”.

La mafia trapanese controlla il tessuto economico sociale con riferimento a presunti condizionamenti della libertà degli incanti, alla gestione, in forma pressoché monopolistica del settore della sicurezza nei locali notturni e del recupero crediti. Non solo ma compiono continue azioni per alterare le procedure di aggiudicazione di immobili oggetto di asta giudiziaria;  presunte estorsioni in danno di aziende locali nel settore enogastronomico (tra cui una cantina vinicola) e turistico (strutture ricettive). I boss hanno  la disponibilità di armi da fuoco.  Nel corso dell’operazione  sono state effettuate numerose perquisizioni su siti ritenuti di interesse anche ai fini della ricerca del latitante ed intensificate le attività di controllo del territorio nelle località di maggiore interesse operativo.

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