Ancora un concerto che si avvia verso il tutto esaurito per l’Orchestra sinfonica siciliana negli spettacoli della stagione 2023-24 in calendario venerdì e sabato prossimi (19 e 20 gennaio) al Politeama Garibaldi di Palermo. A salire sul podio sarà Beatrice Venezi (Lucca 1990), giovanissima direttore (come chiede di essere chiamata) segnalata dal Corriere della Sera tra le 50 donne dell’anno nel 2017 mentre nel 2018 Forbes l’ha inserita tra i 100 giovani leader del futuro sotto i 30 anni.
Al violino Stefan Milenkovich (Belgrado, 1977), musicista che gode di una prolifica carriera come solista e solista di recital ricercato a livello internazionale, con una straordinaria longevità produttiva, professionalità e creatività. Sarà accompagnato dal suo strumento: un violino Giovanni Battista Guadagnini del 1783.
Il programma
In programma ci sono il Concerto in re maggiore per violino di Čajkovskij e la Quinta sinfonia dello stesso autore.
Il Concerto in re maggiore fu scritto tra i mesi di marzo e aprile 1878 a Clarens, presso il lago di Ginevra, dove Čajkovskij si era rifugiato per riprendersi da una grave crisi depressiva che lo aveva portato alle soglie della follia. La Quinta sinfonia, invece, è stata composta tra il 30 maggio e il 26 agosto 1888 a distanza di undici anni dalla Quarta. Costituisce il secondo atto della cosiddetta trilogia del destino e si pone in relazione con la precedente che ne rappresenta il primo e con la Sesta, la celebre Patetica, che corrisponde a quello conclusivo, il terzo. Tema conduttore delle tre sinfonie è il destino che incombe sulle vicende umane.
Il concerto
Il Concerto in re maggiore per violino e orchestra fu scritto da Čajkovskij tra i mesi di marzo e aprile 1878 a Clarens, presso il lago di Ginevra, dove si era rifugiato per riprendersi da una grave crisi depressiva che lo aveva portato alle soglie della follia. L’affrettato matrimonio con Antonina Miljukova si era rivelato fallimentare tanto da non superare il breve periodo di tre mesi, minando il suo fragile equilibrio psichico come egli stesso ebbe modo di precisare: «I miei nervi, la mia mente, sono a tal punto spossati che riesco a stento a mettere insieme due pensieri». In una lettera all’amica Nadežda von Meck, a proposito della sua vita matrimoniale, si abbandonò a questa sofferta e drammatica confessione: “Ho passato due settimane a Mosca con mia moglie. Sono state due settimane di insopportabili e continue torture morali. Ero disperato. Ho cercato di morire perché mi sembrava l’unica via di scampo. Ho attraversato momenti di follia durante i quali la mia mente era piena di un tale odio verso la mia sfortunata moglie che ho desiderato di strangolarla. Ero incapace persino di fare il mio lavoro al conservatorio. Non sapevo più cosa fare”.
Una sera, quando la sua sofferenza ulteriormente acutizzatasi divenne insopportabile, egli si gettò nelle acque gelide del fiume Moscova nella speranza di contrarre una malattia che lo conducesse a morte certa non volendo recare un disonore al nome della famiglia con un suicidio. I suoi propositi suicidi, per fortuna, fallirono e il bagno estemporaneo nella Moscova non procurò danni alla sua salute. Decise, allora, di abbandonare la moglie e di recarsi a Pietroburgo presso il fratello Antatolij che, vedendolo in quelle condizioni pietose, pensò bene di allontanarlo dalla Russia con la motivazione che Čajkovskij era stato scelto come rappresentante della Russia all’Esposizione Universale di Parigi del 1876. In realtà la meta del loro viaggio fu Clarens, un paesino sul lago di Ginevra scelto per il clima particolarmente salubre idoneo a facilitare la cura anche delle malattie nervose e, grazie ad una vita tranquilla e regolare, lentamente il compositore recuperò una certa stabilità tanto da sentire il bisogno di riprendere a comporre. Nacque così l’idea del Concerto per violino e orchestra ispirato dal violinista Kotek che lo aveva raggiunto nella sua dimora svizzera e dei cui suggerimenti tecnici egli si avvalse per la parte solistica, anche se, nonostante la preziosa collaborazione del violinista, decise, poi, di dedicare il Concerto a Leopold Auer, caposcuola di un gruppo di violinisti, per la maggior parte ebrei, provenienti da Odessa, motivando tale scelta, come scrisse al suo editore Jurgenson, con il desiderio di non suscitare nuovi pettegolezzi. Auer, tuttavia, pur dichiarandosi lusingato e onorato per la dedica, si rifiutò di eseguire il Concerto che poté avere la sua prima esecuzione europea a Vienna il 4 luglio 1881 grazie al giovane violinista Adolf Brodski, al quale il compositore, infine, dedicò la partitura. Nonostante i consensi favorevoli del pubblico, i critici non furono molto clementi e soprattutto Hanslick, come lo stesso Čajkovskij ebbe modo di testimoniare: “Per caso, nella sala di lettura dell’hotel, mi è capitata in mano una copia del quotidiano «Neue Freie Presse», dove Hanslick tiene la sua rubrica musicale. A proposito del mio Concerto per violino, scrive che, in generale, per quanto conosca le mie opere, esse si distinguono per la loro incoerenza, completa mancanza di gusto, rozzezza e barbarie. Per ciò che riguarda il Concerto per violino il suo inizio non è male, ma più si va avanti, peggio è. Alla fine del primo movimento, egli sostiene, il violino non suona, bensì raglia, stride, ruggisce. Anche l’Andante inizia felicemente, ma ben presto si trasforma nella descrizione di una qualche festa russa selvaggia dove sono tutti ubriachi e hanno volti triviali, disgustosi. «Ascoltando la musica di Čajkovskij mi è venuto in mente che esiste musica puzzolente (stinkende Musik)». È vero che è una critica curiosa? Non ho fortuna con i critici. Da quando se ne è andato Laros, in Russia non c’è un solo critico disposto a scrivere di me con calore e amicizia. In Europa chiamano la mia musica “puzzolente”. Kotek, mio intimo amico, si è messo paura e ha cambiato vilmente la sua intenzione di far conoscere il mio concerto a Pietroburgo (e in ogni caso ciò era un suo obbligo preciso, perché era responsabile per la praticabilità esecutiva della parte violinistica); Auer, a cui il concerto era dedicato, mi gioca sporchi tiri di ogni genere. Come non essere commosso e riconoscente al caro Brodksij che sopporta adesso, a causa mia, gli insulti dei giornali viennesi?”.
Gli insulti della critica non scoraggiarono il giovane violinista che eseguì nuovamente il Concerto a Mosca il 20 agosto 1882 con un discreto successo e l’opera fu considerata dalla critica moderna appassionante e coinvolgente per l’abilità del compositore nei passaggi da musiche dolcissime e melodiche a bruschi attacchi del solista al quale, secondo il compositore Giacomo Manzoni, sono stati affidati «soprattutto nel primo e nell’ultimo tempo compiti veramente trascendentali».
Il primo movimento, Allegro moderato, in forma-sonata, si apre con un motto introduttivo affidato agli archi e ripreso quasi in eco dai legni, mentre il solista, dopo una breve cadenza dove presenta le sue caratteristiche melodiche, timbriche e tecniche, espone il primo tema (Moderato assai), semplice ma appassionato e subito variato in senso virtuosistico. Anche il secondo tema, di carattere lirico e contrastante con il primo, ha un’importante elaborazione virtuosistica. Nello sviluppo il violino interviene con un certo ritardo per variare il primo tema e la ripresa, in cui il solista ha modo di esprimere compiutamente le sue capacità virtuosistiche, è preceduta da una lunga cadenza. Il secondo movimento, Canzonetta (Andante), si apre in modo molto suggestivo dal punto di vista timbrico con una combinazione di corni e archi tipica della scrittura di Čajkovskij. Il violino espone una melodia di raccolto lirismo strutturata in modo asimmetrico. Questo secondo movimento, che ha una struttura molto semplice tripartita con un’introduzione e una coda, si segnala per una scrittura molto raffinata dal punto di vista timbrico che pone a confronto il solista con gli altri strumenti e con piccole sezioni orchestrali. Di carattere spiccatamente virtuosistico è il Finale, Allegro vivacissimo, nel quale vengono esposte tre diverse idee tematiche. La prima, introdotta da una breve cadenza, è molto sviluppata, mentre la seconda è un tema di danza e, infine, la terza, che funge quasi da intermezzo, è esposta dai legni e, poi, ripresa dal solista.
Le note di sala
Composta tra il 30 maggio e il 26 agosto 1888 a distanza di undici anni dalla Quarta, la Quinta sinfonia di Čajkovskij costituisce il secondo atto della cosiddetta trilogia del destino e si pone in relazione con la precedente che ne rappresenta il primo e con la Sesta, la celebre Patetica, che corrisponde a quello conclusivo, il terzo. Tema conduttore delle tre sinfonie è il destino che incombe spesso sulle vicende umane con esperienze drammatiche di cui fu protagonista, suo malgrado, lo stesso compositore quando si trovò a dover affrontare la grave crisi matrimoniale conclusasi con la separazione dalla giovane e innamoratissima moglie Antonina Ivanovna Miljakova, o quando fu sconvolto dal dolore per la morte, nel 1881, dell’amico fraterno Nikolaj Rubinštejn, al quale dedicò il celebre Trio con pianoforte in la minore, op. 50. Nemmeno la sicurezza economica raggiunta grazie a un vitalizio assegnatogli dallo zar era valsa a restituire serenità al suo animo. Čajkovskij, che aveva composto la Quarta sinfonia dopo la crisi matrimoniale, nella Quinta, espresse in una musica caratterizzata da accenti di sublime e commosso lirismo rispettivamente il dolore per la perdita dell’amico e il suo crescente disagio esistenziale. Dedicata a Theodor Avé-Lallemant, musicista influente molto vicino alla Società Filarmonica di Amburgo ed eseguita, con un’ottima accoglienza del pubblico, ma non della critica, sotto la direzione dell’autore per la prima volta a San Pietroburgo il 17 novembre 1888, la Sinfonia n. 5 segue un programma interiore, che il compositore negò ufficialmente di avere utilizzato, quando ne parlò con il Granduca Konstantin Konstantinovič. Ciò, tuttavia, appare in contrasto con quanto si può leggere in un’annotazione diaristica ritrovata in seguito tra gli abbozzi: “Programma del primo movimento: Introduzione. Intera sottomissione al Destino o, il che è lo stesso, agli imperscrutabili disegni della Provvidenza”.
Non si conoscono le ragioni profonde che indussero Čajkovskij a non rendere esplicito il contenuto del programma che, in realtà, sembra contraddetto almeno in apparenza dalla musica e in particolar modo dal fatto che il tema iniziale, con il quale è rappresentato il Destino, inizialmente esposto in minore, si evolve positivamente nel Finale in maggiore. È molto probabile che Čajkovskij, al di là degli aspetti puramente extramusicali e contenutistici, abbia seguito un percorso musicale di tipo classicista.
Il primo movimento, in forma-sonata, si apre con un Andante che realizza perfettamente le parole del programma grazie al celeberrimo tema del Destino, esposto dai clarinetti nel registro grave, la cui struttura mostra un’evidente origine russa soprattutto nel disegno discendente. L’atmosfera funerea di questo esordio sembra modificata nell’Allegro con anima, nel quale, secondo il programma già citato, il compositore cercò di rappresentare Mormorii, dubbi, lamenti, rimproveri contro XXX (nel testo sono indicate tre croci); ciò si realizza nella prima idea tematica dove il tema del destino è variato con disegni ascendenti che intendono mostrare una forma di reazione alla sua inesorabilità, ma una seconda idea tematica dolente, che ricorda lontanamente la seconda frase del tema dello Scherzo della Quinta di Beethoven, considerata anch’essa sinfonia del destino, riconduce l’ascoltatore alla situazione iniziale. Tutta l’esposizione di questo primo movimento si snoda dialetticamente attraverso il contrasto tra il destino e i timidi tentativi di opporsi a esso che si materializzano in brevi episodi più gai. Questo contrasto trova la sua più compiuta espressione nello sviluppo dove si fronteggiano il motivo gaio, già esposto nella sezione Un pochettino più animato, e il primo tema. È possibile trovare la pace nella fede? Questo è l’interrogativo che il compositore si pone nel secondo movimento Andante cantabile, con alcuna licenza, come si evince anche dalla nota diaristica in cui si legge: Devo gettarmi nella fede??? Un programma superbo, se solo fossi capace di realizzarlo. La grande libertà agogica e ritmica, che aveva contraddistinto il primo movimento, caratterizza anche questo Andante in cui il compositore cerca nella fede, alla quale non riesce o non sa aggrapparsi, una ragione di vita destinata a rivelarsi illusoria. Se nella prima sezione del movimento la fede sembra garantire un momento di serenità, nella seconda l’irruzione del tema del destino, declamato con forza dagli ottoni, ne sancisce lo scacco. Per quanto illusoria, la possibilità di una fuga dal destino incombente e terribile sembra l’unica ancora di salvezza per il compositore che nel terzo movimento, Valse (Allegro moderato), si affida alla danza, suo genere musicale preferito, ma ecco che di nuovo il tema del destino, esposto dai clarinetti e dai fagotti, si insinua e turba l’apparente serenità del valzer che, poco incline al sorriso, tende a ricoprirsi di un sia pur tenue velo di tristezza. Quest’apparente serenità, nel quarto movimento, viene definitivamente sopraffatta dal crudele destino con il suo tema che apre e chiude questo Finale dai toni drammatici e, al tempo stesso, rabbiosi. Il doloroso Andante maestoso introduttivo è dominato dal tema del destino che in un drammatico crescendo finisce per coinvolgere tutte le sezioni dell’orchestra, dagli archi ai legni e agli ottoni, assumendo ora toni dolenti con i primi, ora drammatici con gli ultimi. Nel primo tema del successivo Allegro vivace al dramma si unisce la rabbia ben espressa dai violenti accordi strappati degli archi, la cui “ferocia” sembra mitigata dal dolce secondo tema affidato ai legni in un continuo contrasto che caratterizza tutta la sinfonia e conduce alla definitiva vittoria del destino. Tale vittoria è sancita dalla travolgente stretta finale, dove appare il primo tema del primo movimento che, privo di ogni maschera seduttrice e ingannatrice, rivela la sua forza tragica, nonostante il tema del destino avesse precedentemente assunto un’insolita veste in maggiore che sembrava, in modo ingannevole, far intravedere all’ascoltatore una sua possibile sconfitta.
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