“Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me, per trattare”. Questa frase, sibillina e non preceduta né seguita da alcuna spiegazione, sarebbe stata pronunciata dal boss Totò Riina il 31 maggio del 2013, parlando con due agenti del Gom (Gruppo operativo mobile, reparto mobile della polizia penitenziaria) mentre andavano nella saletta del carcere Opera di Milano per assistere a una delle udienze del processo sulla trattativa.
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Lo ha ribadito l’agente Michele Bonafede deponendo nell’aula bunker del carcere Ucciardone, nel processo Stato-mafia.
Le confidenze del capomafia, fatte in due diverse occasioni (il 21 e il 31 maggio 2013), a due guardie penitenziarie del carcere Opera di Milano, sono finite agli atti del processo per la trattativa tra Stato e mafia.
“Sia io che il mio collega – ha detto Bonafede – abbiamo chiaramente udito questa frase che non è stata preceduta o seguita da altre espressioni di Riina che potessero farci comprendere meglio il contesto da cui scaturiva. Riina era assolutamente lucido, cosciente, padrone di sé e ha scandito quelle frasi perchè noi le sentissimo chiaramente”.
“La frase è stata proferita da Riina – ha spiegato la guardia penitenziaria – circa uno o due minuti prima dell’accesso nella saletta e cioè durante il tempo utile a coprire il breve percorso del corridoio, considerato anche il passo lento del detenuto ormai anziano”.
“Appuntato, ha visto quante persone hanno chiamato a testimoniare per il processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone. Le pare giusto quello che stanno facendo? Mi vogliono condannare per forza, mi vogliono mettere sotto pressione, a me e alla mia famiglia, facendo perizie calligrafiche”.
E’ una delle frasi pronunciate dal boss Totò Riina, il 21 maggio del 2013, parlando con un agente del Gom, nella saletta del carcere Opera di Milano, in una delle pause delle udienze del processo sulla trattativa.
L’episodio è stato ricordato dall’agente Michele Bonafede deponendo nell’aula bunker del carcere Ucciardone, nel processo Stato-mafia. Riina, nel ricordo dell’agente che fece anche una relazione di servizio, avrebbe detto: “Io di questo papello non so nulla, non l’ho mai visto. La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro, loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine, assumendosi tutte le responsabilità, io sto bene, mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.
“Io sono stato 25 anni latitante in campagna – avrebbe riferito Riina a Bonafede, come scritto dall’agente nella relazione di servizio – senza che nessuno mi cercasse, come è che sono responsabile di tutte queste cose? Nella strage di Capaci mi hanno condannato con la motivazione che essendo il capo di Cosa nostra non potevo non sapere. Lei mi ci vede a confezionare la bomba di Falcone?”.
Lo ha detto il capo mafia Toto’ Riina durante una delle pause del processo sulla trattativa, il 21 maggio 2013, sfogandosi con l’agente del Gom, Michele Bonafede. L’episodio è stato ricordato dal poliziotto nel processo Sato-mafia, che si svolge nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.
Poi il padrino avrebbe aggiunto: “Brusca non ha fatto tutto da solo. Lì c’era la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l’agenda del giudice Paolo Borsellino. Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e non si fanno dire a chi ha consegnato l’agenda? In via D’Amelio c’entrano i servizi che si trovano a Castello Utveggio e che dopo cinque minuti dall’attentato sono scomparsi, ma subito si sono andati a prendere la borsa”.
“A me mi hanno fatto arrestare Bernardo Provenzano e Ciancimino e non come dicono i carabinieri”. Lo avrebbe detto il boss Totò Riina all’agente di polizia penitenziaria Michele Bonafede, il 21 maggio 2013 nel carcere Opera di Milano. L’episodio, ricordato oggi dal poliziotto durante il processo Stato-mafia, confermerebbe quanto detto dal figlio di Ciancimino, Massimo, che per primo ha parlato del ruolo del padre e del capomafia di Corleone nella cattura di Riina. Al boss i carabinieri sarebbero arrivati grazie all’indicazione del covo segnata da Provenzano nelle mappe catastali fattegli avere dal Ros attraverso Vito Ciancimino.
“Ma è vera la storia del bacio ad Andreotti?”, gli chiese l’agente approfittando dell’insolita loquacità di Riina. “Appuntato, lei mi vede a baciare Andreotti? – rispose il boss – Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre”.
Su un’altra frase del boss, raccolta da Bonafede e da un altro agente, Francesco Milano, il 31 maggio 2013 mentre si recavano nell’aula per le videoconferenze del carcere (“Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me”), in aula sono emerse due versioni discordanti. Bonafede ricorda che il boss avrebbe aggiunto “per trattare”, mentre Milano ha riferito che il capomafia disse in siciliano stretto: “Il non cercai a nuddu (nessuno, ndr), furono iddi (loro, ndr) a cercare a mia (a me, ndr)”. Senza aggiungere altro, né spiegare il contesto.
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