Il 9 maggio 1978 veniva ucciso a Cinisi il giovane giornalista e militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato.
Il suo corpo venne ritrovato straziato sui binari della linea ferroviaria insieme ad una carica di tritolo che lo aveva fatto saltare in aria. Quello che all’inizio venne fatto passare per un suicidio, o un incidente capitato al giovane mentre faceva un attentato, oggi è riconosciuto come omicidio di mafia.

E’ stata lunga però, per ottenere la verità, la battaglia condotta dalla mamma Felicia Bartolotta, dal fratello Giovanni e dagli amici di Peppino, che scelse di combattere la mafia che aveva dentro casa.

Il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia del paese Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato.

Quando morì Peppino aveva appena trent’anni: aveva scelto, pur abitando a cento passi dalla casa del boss Tano Badalamenti, di alzare la voce contro la criminalità organizzata che avvelenava Cinisi e la Sicilia.

A ricordare Peppino, anche il senatore di Leu Pietro Grasso che scrive: “Peppino Impastato prima prese le distanze dal padre, poi iniziò a denunciare i delitti e gli affari dei mafiosi. Fu giornalista, militante politico, incallito sognatore. Dai microfoni di “Radio Aut” con pungente ironia e amara verità raccontava i soprusi e gli intrecci criminali di Gaetano Badalamenti, “Tano seduto”. Cento passi li separavano, a Cinisi. Ma nulla lo fermava. Tutti dovevano sapere. Quella di Peppino Impastato è una storia di coraggio. Fu assassinato a trent’anni nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. Al suo funerale si presentò spontaneamente una folla di giovani provenienti da tutta la Sicilia. Oggi migliaia di ragazzi nel suo ricordo portano avanti la sua stessa battaglia: liberarci dalla mafia”.

Con lui il premier Giuseppe Conte che su facebook scrive: “Quarantuno anni fa la mafia assassinava Peppino Impastato. Ancora vivo è il suo coraggio di ribellarsi, la sua determinazione a non rassegnarsi, a non rimanere in silenzio. Concentrazione massima per contrastare le mafie, per percorrere non cento, ma mille passi in piena libertà”.

Scrive l’Associazione Culturale 100 passi: “Il tuo ricordo è vivo, con il nostro impegno civile, a favore della legalità.
LA MAFIA È UNA MONTAGNA DI MERDA!”.

Il 9 maggio è un giorno di lutto per l’Italia. Tutti ricordano 41 anni fa, il 9 maggio del 1978, il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, politico, accademico e giurista italiano, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, fu ritrovato in via Caetani, a Roma.

I siciliani, e non solo, ricordano anche, lo stesso giorno, il barbaro assassinio di Peppino Impastato, giornalista e attivista siciliano, membro di Democrazia proletaria noto per le sue denunce contro Cosa Nostra. Peppino, giovane innamorato della legalità e della sua Sicilia veniva fatto saltare in aria, sui binari di un treno, nel tentativo di farlo passare per un terrorista che stava posando una bomba lungo la linea ferroviaria.

“E’ impossibile vivere questo giorno senza riandare con la memoria a quei tristi eventi che segnarono la storia dell’Italia, nel 1978” – dichiara il sindaco di Bagheria, Filippo Maria Tripoli – “l’importanza di ricordare uomini come Aldo Moro e Peppino Impastato è duplice: non solo non in questo modo si mantiene vivo il ricordo di uomini che hanno amato la propria Patria, la propria terra ed hanno lottato per degli ideali di pace, libertà, e uguaglianza ma si ricorda che tali sacrifici devono spingerci, singolarmente, a non render vani tali sacrifici, perseguendo sempre, in ogni azione Legalità e Giustizia. Il 9 maggio 1978, giorno del martirio di Aldo Moro e Peppino Impastato, rappresenta nella Storia del nostro Paese un evento che deve e dovrà essere sempre ricordato perché sono stati uomini che hanno messo prima delle proprie esigenze quelle della Comunità. A distanza di 41 anni – conclude il sindaco- sono ancora vive in ognuno di noi le immagini di quelle ore. Che se ne continui a parlare sempre e che la loro storia entri nelle scuole, esempi per le giovani generazioni”.

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