Resta alta la tensione nell’indotto della Raffineria Eni di Gela anche dopo il confronto tra sindacati confederali, da una parte, e Confindustria e Legacoop, dall’altra, nel quale, ieri sera, è stato fatto il punto sul piano di riconversione per la “green refinery” e i lavori di rilancio dello stabilimento.
Cgil, Cisl e Uil provinciali, insieme con i metalmeccanici di Fim, Fiom e Uilm, si dicono preoccupati per la “mancata concretizzazione di alcune soluzioni che attraverso la volontà delle parti consentirebbero di dare risposta immediata a più di 100 lavoratori metalmeccanici”.
Secondo i sindacati la responsabilità di questa situazione sarebbe da addebitare all’Eni che permetterebbe “l’uso smodato di agenzie interinali, di pensionati e di tanti altri lavoratori che scavalcano gli aventi diritto”. Ma Sicindustria non ci sta e ribatte ricordando che “dalla firma dell’accordo del 2014 fino a luglio 2017, Eni ha investito sul territorio gelese complessivamente 555 milioni di euro per portare avanti un piano di sviluppo che comporta una serie di interventi caratterizzati da alto contenuto tecnologico, di ricerca e di elevata sostenibilità ambientale”.
Una sfida che, secondo Rosario Amarù, presidente di Sicindustria di Caltanissetta, “alcune imprese hanno sostenuto con successo, conquistando spazi anche all’estero, mentre altre aziende dell’indotto non ce l’hanno fatta”.
Cgil, Cisl e Uil replicano affermando di avere accettato la sfida “ma tutto questo – ribattono – non può rimanere tema da convegno e pura teoria, ci vogliono i fatti”. Come nel negoziato per l’accordo di programma dove il sindacato, “mai invitato”, dice di avere spesso “assistito a fiumi di parole e a ore di interviste che niente di concreto hanno portato al territorio”. E dopo il nulla di fatto di ieri, non è escluso il ricorso allo sciopero.
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