Accogliendo le richieste dei legali dei difensori degli imputati, il tribunale di Caltanissetta che celebra il processo su presunti illeciti nella gestione della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo ha deciso di non sentire come testimone il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Lo Voi era stato citato a testimoniare all’udienza di oggi insieme al presidente del tribunale Salvatore Di Vitale e ai pm Roberto Tartaglia e Gaspare Spedale.
La deposizione, chiesta dalla Procura di Caltanissetta, era stata inizialmente ammessa, ma il collegio oggi, esaminata la questione posta dalle difese, ha rivalutato la decisione. Lo Voi era a capo dell’ufficio inquirente che aprì l’indagine da cui nacquero poi gli accertamenti sulle irregolarità commesse dai magistrati della sezione nell’assegnazione degli incarichi agli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati a Cosa nostra. La legge – l’art. 197 del codice di procedura penale – vieta la testimonianza dei pm che abbiano condotto le indagini sui fatti oggetto del processo.
Circostanza fatta rilevare dai legali, visto che Lo Voi firmò anche alcuni atti nella fase iniziale dell’inchiesta, che riguardava inizialmente l’amministratore giudiziario Walter Virga, e che poi per competenza, avendo accertato responsabilità di magistrati palermitani, venne trasmessa a Caltanissetta. Al processo sono imputati, tra gli altri, l’ex presidente della sezione Silvana Saguto e uno dei suoi giudici a latere Lorenzo Chiaramonte. Saguto risponde di corruzione.
I controlli svolti sulla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo retta da Silvana Saguto dopo la denuncia di illeciti nel conferimento degli incarichi agli amministrazioni giudiziari da parte della trasmissione Le Iene sono stati oggetto della lunga deposizione resa dal presidente del tribunale di Palermo Salvatore Di Vitale, che ha testimoniato al processo. Quindici gli imputati che devono rispondere a vario titolo di circa ottanta contestazioni per reati che vanno dalla corruzione al falso, dall’abuso d’ufficio alla truffa aggravata. Le indagini, avviate nel 2015, hanno ricostruito un “sistema” basato su rapporti privilegiati con alcuni professionisti nominati amministratori giudiziari. Le assegnazioni di incarichi e consulenze sarebbero state ricambiate con regali, favori e denaro. Il marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, avrebbe ottenuto consulenze professionali. Tra i presunti beneficiari anche il figlio Emanuele, mentre il padre Vittorio sarebbe coinvolto in alcune operazioni finanziarie finite sotto inchiesta. Nella lista degli imputati anche gli amministratori giudiziari Gaetano Cappellano Seminara, tra i “favoriti” per l’accusa nell’assegnazione degli incarichi, Aulo Gabriele Gigante, Roberto Nicola Santangelo e Walter Virga, l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte, il colonnello Rosolino Nasca della Dia, i docenti universitari Carmelo Provenzano e Roberto Di Maria della Kore di Enna, la moglie di Provenzano, Maria Ingrao, e la collaboratrice Calogera Manta e l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo. Hanno scelto il giudizio abbreviato invece i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere del tribunale Elio Grimaldi.
“Dopo aver saputo della trasmissione de Le Iene sulla sezione misure di prevenzione, andata in onda il giorno prima il mio insediamento al vertice del tribunale di Palermo, iniziai a svolgere indagini conoscitive sul caso”, ha raccontato Di Vitale riferendosi al servizio televisivo sulle assegnazioni degli incarichi di amministratore giudiziario dei beni sequestrati alla mafia a personaggi del “cerchio magico” della Saguto. Di Vitale apprese che non c’era un sistema tabellare nell’assegnazione e chiese alla Saguto una relazione. “La prima risposta – ha spiegato il teste – fu una ripetizione di relazioni precedentemente fatte anche alla commissione Antimafia in cui si sottolineava l’esistenza una campagna diffamatoria ai danni della sezione, una sorta di aggressione. E si precisava che Gaetano Cappellano Seminara, indicato dai servizi tv come uno dei favoriti nell’assegnazione degli incarichi, non ne aveva invece ricevuti più di altri”. In realtà Saguto rilanciò chiedendo una sorta di azione difensiva al presidente. Le spiegazioni dei colleghi non convinsero Di Vitale, però, che chiese una seconda relazione e in particolare spiegazioni sul fatto che il marito della Saguto fosse stato nominato consulente di Cappellano Seminara nell’amministrazione giudiziaria del sequestro delle cave Buttitta. “Scrissi una lettera alla collega – ha detto Di Vitale – in cui le chiedevo di valutare l’opportunità che il marito continuasse a collaborare con Cappellano Seminara, vista anche la campagna di stampa in corso”. Il presidente del tribunale ha anche detto di essere più volte ritornato sull’argomento della rotazione degli incarichi. “Mi interessava capire la consistenza patrimoniale più che i numeri delle nomine, – ha spiegato – ma mi venivano forniti dati confusi. Le risposte relative agli incarichi a Cappellano erano sempre diverse. E anche le statistiche erano carenti di riferimenti temporali. Saguto mi si disse anche che informaticamente non si riusciva a ricostruire i dati relativi al periodo antecedente il 2009”. Circostanza non vera perché, dopo l’avvio dell’inchiesta nissena sulla mala gestione della sezione, lo stesso Di Vitale in dieci giorni accertò quante amministrazioni aveva avuto Cappellano Seminara e i compensi corrisposti. Stretta dal presidente e dalla campagna di stampa Saguto comunicò che il marito aveva cessato di collaborare all’amministrazione giudiziaria Buttitta. E, a scandalo scoppiato, la presidente chiese il trasferimento in corte d’assise (ora è sospesa da stipendio e funzioni e sottoposta a procedimento disciplinare) e la sezione azzerata. Tutti i giudici vennero sostituiti. Di Vitale ha riferito che più volte, anche a fronte delle sue pressioni, Saguto avrebbe resistito a rivedere la sua politica delle assegnazioni a Cappellano Seminara dicendo di fidarsi di lui e che era il più bravo. Incalzato dalle domande dei legali di Saguto e di Cappellano, il presidente ha ammesso che all’epoca non c’era un divieto normativo di dare incarichi a familiari di magistrati e che comunque ad aver avuto il maggior numero di nomine era un altro amministratore, Alessandro Scimeca. “Ha mai mosso sulla base degli elementi documentali acquisiti addebiti di carattere disciplinare al Csm relativi agli incarichi agli amministratori giudiziari?”, ha chiesto al teste l’avvocato Ninni Reina, che difende Saguto. “No – ha risposto Di Vitale – Ho riferito a tutti quello che sapevo. Ero lì da poco, prima di muovermi cercavo di capire”.
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