Sono 18 in totale i beni sequestrati, per un totale di 43 milioni di euro, ai due soci con le mani in pasta nelle scommesse on line e che sarebbero collegati alla mafia palermitana. Parliamo dei due imprenditori, il palermitano Salvatore Rubino, 62 anni, e Christian Tortora di 47 anni di Battipaglia. Secondo le indagini nell’operazione “All In” dei finanzieri del nucleo di polizia economico e finanziaria di Palermo sarebbero i referenti di un gruppo societario. Gruppo che era contiguo alle famiglie mafiose di Pagliarelli, Porta Nuova, Palermo Centro, Brancaccio e Noce.
I beni di Rubino
Per l’esattezza nei conferenti di Rubino sono 11 i beni a cui sono stati messi i sigilli. Figura una ditta individuale a Palermo in via Il debrando Pizzetti. Ci sono poi diverse sociatà: Bet for bet e Scm service entrambe in via Il debrando Pizzetti, ed un’altra, la Saf in via Ercole Bernabai, a Palermo; Tierre game srl e Alcabet a Roma, Gierre game srl a Salerno, il centro commerciale Only game a Battipaglia, il bar Erredue ad Ardea in provincia di Roma. Ci sono poi un appartamento a Palermo in via Il debrando Pizzetti, una lussuosa villa a Favignana in contrada Corso.
I beni di Tortora
Altri 7 beni riguardano invece Tortora, alcuni dei quali in compartecipazione con Rubino. Difatti figurano Gierre game e la Tierre game, e poi la Medi commerce con sede legale a Battipaglia e la Gaming management group con sede legale a Milano. Altri sigilli per un’abitazione a Battipaglia e per un’auto Mercedes benz glc. Infine figurano 45 rapporti finanziari tra conti correnti bancari, conti deposito di titoli ed obbligazioni, conti deposito a risparmio e polizze assicurative.
L’operazione
I due imprenditori sono stati arrestati nell’operazione “All In” insieme al boss Francesco Paolo Maniscalco di 59 anni. Le indagini avrebbero ricostruito la sistematica ricerca del potere economico da parte di Cosa nostra che cerca di infiltrarsi nel lucroso settore della gestione dei giochi e delle scommesse sportive. Secondo i finanzieri del Gico ci sarebbero delle imprese che facevano riferimento al boss Francesco Paolo Maniscalco. Grazie al rapporto con la mafia avrebbero acquisito la disponibilità di numerose licenze e concessioni statali rilasciate dall’agenzia delle dogane e dei monopoli per l’esercizio della raccolta delle scommesse. Fino alla creazione di un “impero economico” costituito da società formalmente intestate a “prestanome”, che nel tempo erano giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
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