Si conclude domani (25 gennaio) la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Un appuntamento che ogni anno vede impegnate le confessioni cristiane in numerose iniziative. Il tema di quest’anno è: “Chiamati per annunciare a tutti le opere meravigliose di Dio”. (1 San Pietro 2,9).

L’attenzione e l’interesse per l’unità tra i cristiani nasce da molto lontano e non in casa cristiana, bensì da altre confessioni, di area protestante e anglicana, già verso la fine del Settecento. Convenzionalmente è il 1908 l’anno cui viene fatta risalire la nascita ufficiale dell’attuale settimana.

Una profonda evoluzione dello spirito di questo ottavario è dovuta all’abate francese Paul-Irénée Couturier (1881-1953), che è considerato “il padre dell’ecumenismo spirituale”. Diversi pontefici tra cui Pio X, Benedetto XV, e altri approvarono l’iniziativa, ma non come preghiera comune con gli altri cristiani. In ambito protestante, il movimento ecumenico Faith and Order (Fede e Costituzione) nel 1926 propose a sua volta un ottavario che iniziasse però la domenica di Pentecoste (tradizionalmente considerata la commemorazione della fondazione della chiesa di Cristo).
Abbiamo posto a Mons. Nino Raspanti, Vescovo di Acireale, Amministratore Apostolico di Messina e Delegato per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale della Sicilia alcune domande su questo tema.

Perché la Chiesa cattolica ogni anno dedica una intera settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?
“L’unità tra i cristiani è un dono di Dio e non si può raggiungere a partire dalle nostre volontà. Anzi, le nostre volontà hanno dimostrato in 2.000 anni che da sole ci portano verso la disunione. Solo dinnanzi a Dio si possono riconoscere le proprie responsabilità, chiedendo, quindi, perdono. Ecco perché l’unità va invocata pregando”.

E perché una settimana di preghiere e non magari di incontri, conferenze, dibattiti, ecc.?

“Dura una settimana perché ogni giorno sono previste preghiere e intenzioni diverse. Si fanno preghiere nelle singole confessioni e ciascuno le fa secondo le forme proprie; poi ci sono preghiere che si fanno insieme da parte di tutte le confessioni”.

Quindi, niente confronto tra le esperienze delle varie confessioni?
“No, anzi. La Settimana è l’occasione in cui nelle varie diocesi si organizzano, incontri e dibattiti, in genere bilaterali. Il programma della settimana è concordato tra tutte le confessioni e quindi ciascuno svolge nel corso dei sette giorni il medesimo rituale. In questo senso la settimana di preghiera è un gesto unitario”.

Come è stata preparato il lavoro di quest’anno e da chi?
“La prima bozza è stata redatta da un gruppo interconfessionale riunitosi su invito dell’arcivescovo di Riga. Il sussidio è poi stato steso nella forma finale dalla commissione internazionale nominata dalla Commissione Fede e Costituzione del World Council of Churches e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani. Quindi, per esempio si possono svolgere momenti di preghiera ogni sera in parrocchia, e, in effetti, molte parrocchie lo fanno. In aggiunta si possono organizzare uno o più incontri diocesani insieme, ovviamente con le altre confessioni. L’elenco di quelle svolte nelle 18 diocesi dell’isola è molto vasto. Nella mia diocesi si svolge sempre nella chiesa di san Paolo ad Acireale”.

Perché si fa proprio a gennaio?
“Perché deve coincidere con la ricorrenza della Conversione di San Paolo, appunto il 25 gennaio”.

Come è strutturato tutto questo lavoro di rapporti tra le religioni e le confessioni a livello regionale?
“In Sicilia, all’interno della Conferenza episcopale Regionale, abbiamo un direttore e un ufficio in cui sono rappresentate le 18 diocesi dell’isola. Si articola come una sorta di Centro Pastorale regionale. L’iniziativa recente più importante è stata fatta l’anno scorso a Caltanissetta il 16 maggio”.

E in che cosa è consistita?
“E’ stata una Giornata Ecumenica Regionale, frutto di un anno e mezzo di lavoro, insieme ai rappresentanti di tutte le confessioni. Il tema scelto era: “Costruire insieme la città”.

E quest’anno?
“Quest’anno ci siamo dedicati al dialogo interreligioso in particolare quello con l’Islam. L’impegno è su momenti di carattere formativo perché ci siamo accorti che c’è innanzitutto bisogno di conoscere e comprendere molto di quella religione”.

Qual è la comunità cristiana più numerosa con cui intrattenete rapporti in Sicilia?
“Certamente quella ortodossa. Tuttavia le chiese ortodosse, anche in Sicilia, sono molte e molto variegate: c’è chi si rifà al Patriarcato di Mosca, chi alla Chiesa rumena, che però è autocefala, chi a quella di Kiev e chi alla storica Chiesa di Costantinopoli. Dal punto di vista religioso solitamente sono conservatori. Non riscontriamo difficoltà nei rapporti con tutti loro. Sono comprensivi della situazione in cui vivono in Italia e noi ricambiamo con molta ospitalità, soprattutto per le cerimonie liturgiche, perché loro non hanno strutture di culto proprie; utilizzano le nostre chiese. Sono seguiti dai loro sacerdoti nelle catechesi e nella amministrazione dei sacramenti. Poi ci sono i cristiani che vengono dall’Africa come i copti, solitamente ortodossi. Dal punto di vista della dottrina, salvo il loro rifiuto a riconoscere il primato del Papa, non ci sono difficoltà particolari, perché su tutto il resto siamo uniti”.

Passiamo alla Chiesa Evangelica e Pentecostale. Come sono i rapporti in Sicilia?
“La provenienza fondamentalmente europea di questi fedeli genera certamente una maggiore intesa sul piano culturale, ma una maggiore freddezza sul piano dottrinale. Molto dipende da motivi storici; in passato sono stati osteggiati anche da noi e quindi ci hanno guardato con sospetto. L’aspetto più importante è legato alle numerose conversioni di cattolici verso queste due chiese, che in alcune comunità della Sicilia assume dati numerici anche significativi. Il motivo fondamentale è che trasmettono un tipo di religiosità molto accattivante, perché più carica di emotività. Nei piccoli gruppi c’è più spazio per l’accoglienza, per i rapporti personali, per la comprensione delle vicende personali. Nell’aggregarti ad un piccolo gruppo ti senti più seguito, più voluto bene, senti Dio più vicino. Non essendoci mediazioni né di sacerdoti né di particolari obblighi morali, il rapporto è solo con la Parola di Dio e questo, ovviamente, rende tutto più facile, ma anche più soggetto alla frammentazione”.

E con gli Anglicani come vanno le cose?

“I partecipanti alla Chiesa Anglicana anche in Sicilia sono europei e soprattutto inglesi. Possono incontrarsi soprattutto lì dove ci sono rappresentanze diplomatiche o persone provenienti da quella zone e tra noi per motivi di lavoro. I numeri sono ovviamente piccolissimi. Pur avendo una struttura ecclesiastica uguale alla nostra, ci divide soprattutto il rapporto con l’autorità, perché il loro capo è la Regina. Hanno anche propri Ministri del culto. Quanto alla dottrina siamo lontani nel culto dei Santi, della Madonna e nel rapporto con il Papa. Dal nostro punto di osservazione ci appaiono nello stile alquanto secolarizzati. Mentre vi è un certo fermento di conversioni da loro verso di noi non si può dire il contrario. Lo stesso vale più o meno per quelli che provengono dagli Stati Uniti che si chiamano Episcopaliani”.

E i Luterani?
“La Chiesa luterana è la più classica e va anch’essa di pari passo con gli immigrati provenienti dal nord Europa. C’è una presenza anche in Sicilia. Ci sono anche dei Pastori che vengono però inviati dalla Germania che assistono i fedeli in loco. Sono molto attivi sugli aspetti sociali della convivenza civile”.

Passiamo alla comunità valdese
“In Italia i Metodisti si sono praticamente uniti con i Valdesi. Abbiamo motivi di antagonismo storico più che di impegno sociale e civile attuale. Non desiderano annettere i cattolici al culto valdese, vivono la loro esperienza e sono legati alla loro tradizione. Sono molto legati alla parola di Dio, non mostrano segni di emotività o sentimentalismo; vogliono essere obbedienti alla parola, sensibili alla carità e alla solidarietà, vivono una certa essenzialità, Per tutti questi motivi non crescono in modo significativo di numero e sono presenti soprattutto nelle grandi città”.

Vi sono altre comunità di Chiese cristiane presenti in Sicilia?
“Si, ma si tratta di piccole aggregazioni, localizzate in alcuni territori. C’è la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, la Chiesa Evangelica della Riconciliazione, che hanno magari dei rappresentanti, ma con cui i rapporti sono tenuti in sede locale”.

Quale giudizio conclusivo si può dare dei rapporti con tutte queste realtà di Chiese cristiane
“C’è in Sicilia un’esigenza generale dell’ecumenismo, sentita da tutti noi e abbastanza radicata nelle Chiese sorelle. Questa esperienza è nata dal volere praticare un ecumenismo localizzato: non basta parlare di teologia, di dottrina, oppure in generale di una delle nostre Chiese. Occorre parlare delle comunità concrete che vivono nel nostro territorio siciliano e farle incontrare. Si tratta di gruppi che spesso non si conoscono, s’ignorano, non sanno quasi nulla l’uno dell’altro benché vivano accanto. Tra l’altro proprio sul territorio svolgono lodevoli iniziative, soprattutto nel campo della carità, che meritano di essere conosciute e valorizzate”