Una “nota di aggiornamento al documento di economia e finanza regionale (Nadefr) 2024/2026”, pubblicata a fine 2023, fornisce una interessante radiografia dell’andamento dell’economia dell’Isola e raccoglie le osservazioni più recenti del quadro economico di riferimento.
L’andamento del Pil della Sicilia
Alla luce delle dinamiche di contesto e considerando le proiezioni effettuate dal Governo nella nota di aggiornamento al Def deliberata dal Consiglio dei Ministri il 27 settembre 2023 e l’aggiornamento dei conti nazionali per il triennio 2020-2022 effettuato dall’Istat nel mese di settembre, è stato rielaborato lo scenario macroeconomico di base della Sicilia, che risente del progressivo esaurirsi degli effetti positivi della ripresa post-pandemica, del consolidarsi degli effetti negativi dell’inflazione e del conseguente inasprimento della politica monetaria. Tutto ciò tenendo pure conto dell’elevato grado di incertezza delle previsioni derivante dal perdurare di tensioni geopolitiche internazionali. Secondo l’associazione per lo sviluppo industriale del mezzogiorno (Svimez), queste criticità sono intervenute a modificare un’inedita capacità reattiva del Sud dell’Italia, che si era manifestata nella fase di ripresa post-Covid. Complessivamente, nel biennio 2021-2022, l’economia del Mezzogiorno avrebbe registrato infatti una crescita del 10,7% più che compensando la perdita del 2020 (-8,5%) e realizzando una performance che è risultata in linea con quella del resto del Paese. La Sicilia sarebbe stata parte integrante di questa ripresa con valori prossimi a quelli della circoscrizione. L’andamento del profilo tendenziale di crescita del Pil regionale viene quindi ridefinito in base agli aggiornamenti disponibili e con le cautele accennate, operando le opportune elaborazioni attraverso il modello multisettoriale della regione (Mms).
La rielaborazione delle stime, che è stata effettuata considerando il mutato quadro programmatico della Nadef, ha portato ad una revisione al ribasso delle previsioni effettuate a luglio per l’anno in corso (da 1,0% a 0,7%,) con un differenziale negativo di tre decimi di punto per il 2024 (da 1,4% a 1,0%) e per il 2026 (da 1,1% a 0,8%), e prospetta un lievissimo miglioramento per l’anno 2025 (da 1,2% a 1,3%).
L’indice dei prezzi In Sicilia e in Italia
Il nuovo profilo di crescita del Pil rappresenta quindi il riflesso dell’indebolimento dell’attività economica nazionale e internazionale avvenuta a partire dalla seconda metà del 2022, principalmente attribuibile all’erosione del potere d’acquisto delle famiglie, alla riduzione degli investimenti delle imprese, alla permanente incertezza causata dalla guerra in Ucraina oltre che alla stagnazione dell’economia europea e alla contrazione del commercio mondiale. Particolare rilevanza assume l’andamento dell’inflazione, guardando anche al suo profilo regionale, per l’impennata generata dall’eccezionale rincaro dei prezzi del settore energetico nel corso del 2022. L’indice dei prezzi energetici, misurato dall’indice nazionale per l’intera collettività NIC (indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale), dopo il picco registrato nel mese di ottobre 2022, ha intrapreso comunque un percorso di graduale rientro, fino a diventare negativo nell’ultima rilevazione. Il tasso di crescita tendenziale dell’indice su base annuale in Sicilia è passato infatti da +137% a -10,4% dell’ultima rilevazione di settembre (da +135% a -11,5% a livello nazionale).
La riduzione dei prezzi dei prodotti energetici ha avuto effetti positivi sull’andamento dell’indice generale dei prezzi. Il tasso di inflazione dopo aver toccato l’apice nel mese di ottobre 2022 (+14,9%) si è ridotto progressivamente, portandosi nell’ultima rilevazione su un valore del 5,5% (+5,4% il dato Italia). Ciò nonostante, per alcune tipologie di prodotto il percorso di rientro dai valori elevati del 2022 è apparso con una traiettoria molto più lenta. Per i beni alimentari, ad esempio, la dinamica dei prezzi permane a livelli più sostenuti mostrando una minore sensibilità alla riduzione dell’indice dei prezzi dei beni energetici. Il tasso di crescita tendenziale a settembre risulta ancora elevato e pari +9,0% (+8,5% a livello nazionale), di fatto influendo in maniera diretta sui conti delle famiglie e sulle prospettive delle imprese.
Il mutato quadro di riferimento del 2023
Rispetto alle previsioni formulate nel Defr (documento di economia e finanza regionale) di luglio, il mutato quadro di riferimento per il 2023 è dipeso dal deterioramento di condizioni di contesto che hanno riguardato sia la domanda interna, per la componente degli investimenti, che quella estera. La crescita prevista degli investimenti fissi lordi per il 2023 nel Defr di luglio (+3,9%) è stata rivista al ribasso di 2,8 punti percentuali a causa di un ridimensionamento dell’attività del comparto delle costruzioni che ha risentito in buona parte della progressiva rimodulazione degli incentivi relativi all’efficientamento energetico degli edifici (Superbonus 110%), mentre i consumi delle famiglie e delle AA.PP. (pubblica amministrazione) si mantengono su valori rispettivamente pari a 1,1 e 0,6 %. Dal lato della domanda estera i volumi dell’export regionale, riferiti ai primi sei mesi dell’anno appena trascorso, indicano un calo del 17,2%, invertendo la tendenza che era emersa nel corso del 2022, per effetto combinato dell’elevata inflazione e delle politiche monetarie restrittive che hanno determinato una frenata della domanda globale. La decrescita è prevalentemente dovuta al valore dei prodotti dell’industria petrolifera (-23,7%), le cui oscillazioni del prezzo incidono in maniera rilevante sull’andamento complessivo del valore dell’export regionale a causa del loro relativo peso. Anche al netto di questa componente, emerge comunque una flessione dell’export regionale. Il valore delle merci in uscita dalla Sicilia dei prodotti “non oil” è apparso in diminuzione su base annua del 4,9%, manifestando performance negative in quasi tutti i comparti trainanti dell’Isola, quali, in ordine di peso sull’export, l’agroalimentare (-6,7%), la chimica (-28,6%) la farmaceutica (-4,5%), gli articoli in gomma (-6,0%), la metallurgia (- 34,2%) e i mezzi di trasporto (-11,1% gli autoveicoli e -6,8% altri mezzi). Appaiono in crescita, invece, i settori dei computer e delle apparecchiature elettriche con un rialzo del valore delle esportazioni rispettivamente del 7,7 e del 53,2 per cento. Dal lato dell’offerta, rispetto alle valutazioni inserite nel Defr di luglio si è registrato un peggioramento delle stime del valore aggiunto in tutti i settori di attività ad eccezione di quello dei servizi. Peggiorano, in particolare, le stime elaborate per il settore delle costruzioni, con un differenziale negativo rispetto a luglio di 3,7 punti percentuali, quelle relative all’agricoltura (differenziale negativo di 1,6 punti percentuali) e all’Industria (-2,1 punti percentuali rispetto a luglio). Sulle costruzioni, ha avuto un sicuro effetto la modifica del sistema degli incentivi attuata di recente, che può avere determinato per il 2023 una riduzione dello stimolo all’attività edilizia esercitato nel biennio 2021- 2022.
L’aggiornamento delle stime è stato effettuato prendendo in considerazione anche i dati congiunturali disponibili che in linea generale confermano i segnali di debolezza dell’economia per la seconda parte dell’anno pur con delle eccezioni. Con riferimento al clima di fiducia dei consumatori, rilevato dalle indagini Istat sia in ambito nazionale che meridionale, si riscontra che a partire dal mese di giugno l’indice ha incominciato a flettere dopo un periodo di ascesa che durava da settembre 2022. Dalle indagini si evidenzia inoltre un deciso peggioramento dei giudizi sulla situazione economica generale e un aumento delle attese sulla disoccupazione, informazioni che insieme suggeriscono che la fase di debolezza economica si potrebbe protrarre nei prossimi mesi.
Inoltre, uno degli indicatori che misurano l’andamento congiunturale dei consumi, rappresentato dal numero di nuove immatricolazioni di autovetture, con riferimento ai primi 8 mesi del 2023, risulta in aumento (+9,8%) sul corrispondente periodo del 2022, confermando il trend già indicato nel Defr e riferito al periodo gennaio-aprile (+7,1%). La crescita che si registra nell’Isola è del resto in linea con l’andamento nazionale (+20,3%). Le informazioni congiunturali che riguardano l’edilizia confermano i segnali di indebolimento del comparto. Il volume delle transazioni immobiliari registrato nel secondo trimestre dell’anno dall’osservatorio del mercato immobiliare operante presso l’Agenzia delle Entrate, risulta in calo in Sicilia del 6,5% sull’analogo periodo del 2022 (-25,1% il dato nazionale), tendenza che risulta confermata anche dai dati di Banca d’Italia sui flussi di nuovi finanziamenti per l’acquisto di abitazioni che, nell’arco dei primi sei mesi dell’anno, mostrano una flessione del 20,7% rispetto al primo semestre dell’anno precedente.
Il settore dei servizi
Per quanto riguarda il settore dei Servizi si riscontrano segnali positivi nel comparto del turismo. Secondo i dati provvisori dell’Osservatorio Turistico Regionale (Tab.1.5), la Sicilia nei primi nove mesi del 2023 ha registrato 13,3 milioni di presenze complessive, il 5,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2022, grazie esclusivamente alla componente estera (6,3 milioni di presenze), che cresce del 18,7% a fronte di una contrazione del turismo italiano (-3,5%) valutato pari a 7 milioni di presenze. In evidente crescita risultano anche gli arrivi (+8,2%), particolarmente per la componente straniera (+24,3%), mentre la permanenza media rimane pressoché invariata sul valore di 3 giorni. I dati sui movimenti aeroportuali diffusi da Assaeroporti, riferiti al periodo gennaio-agosto 2023 confermano il dato espansivo delle presenze turistiche nell’isola con il traffico passeggeri negli aeroporti siciliani che fa registrare sensibili incrementi di movimentazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel dettaglio i due maggiori scali regionali, Catania e Palermo registrano aumenti di movimentazione passeggeri rispettivamente del 28,2 e del 16,6%.
Riguardo al tessuto imprenditoriale, nel secondo trimestre sono peggiorate le tendenze già riportate nel Defr e riferite ai primi tre mesi dell’anno. Lo stock di imprese attive in Sicilia a fine giugno è di 381.786 unità, 2.541 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022 (-0,7%), per effetto della riduzione registrata nel settore dell’agricoltura (-4,2%) e dell’industria (-1,1%), non compensata dagli incrementi osservati nelle costruzioni (+1,3%) e nei servizi (+0,3%).
Il mercato del lavoro
Al contrario, il mercato del lavoro, negli ultimi dati diffusi dall’Istat con riferimento al secondo trimestre del 2023, si è mostrato incoerente rispetto al rallentamento dell’attività economica, facendo registrare un incremento nel numero degli occupati ed una riduzione del tasso di disoccupazione. Nel primo e secondo trimestre del 2023 in Sicilia si registra infatti un aumento degli occupati, dal punto di vista tendenziale, rispettivamente del 5,6 e del 3,7 per cento guardando agli stessi trimestri dell’anno precedente, in analogia a quanto è avvenuto a livello nazionale (+2,3% e +1,7%). Gli aumenti si registrano in tutti i settori produttivi (+7,2% e +8,7% in agricoltura; +13% e +10,1% nell’industria; +5,6% e +3,7% nel terziario) ad eccezione di quello delle costruzioni che mostra invece contrazioni tendenziali del 4,3% e del 10% nei due trimestri. L’aumento dell’occupazione si è inoltre accompagnato ad una riduzione del numero dei disoccupati e degli inattivi. Nello specifico, i disoccupati nel secondo trimestre 2023 si attestano su 249 mila unità, erano 276 mila nel secondo trimestre 2022, mentre gli inattivi si riducono di 14.000 in un anno. Il tasso di disoccupazione scende al 15,5%, riducendosi di 1,7 punti percentuali rispetto alla stessa rilevazione del 2022, pur mantenendo elevato il differenziale con il dato nazionale che si attesta sul 7,6%. Cresce invece il tasso di occupazione (+0,4 punti percentuali in un anno, fissandosi sul 44,3%) e il tasso di attività che si attesta sul 52,4% (+0,6%). Occorre tuttavia rilevare, in questo quadro, il notevole peso che, nella dinamica dei rapporti di lavoro, assumono, sia a livello nazionale che regionale, i contratti a tempo determinato, come rilevati dall’osservatorio Inps sul precariato, laddove si quantifica in una misura superiore all’82% la quota di nuovi rapporti diversi dai contratti a tempo indeterminato.
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