Colpaccio di Repubblica a nuovissima guida di Maurizio Molinari. Oggi sul quotidiano – “fondatore Eugenio Scalfari” (come ancora si legge in calce alla testata) – , a pagina 4 e 5, Piero Del Re intervista il portavoce di Al Shabaab, Ali Dehere.

Al Shabaab è il gruppo terroristico che il 20 novembre del 2018 ha rapito Silvia Romano e che dietro il pagamento di un riscatto sulla cui entità risponde con un plastico “no comment”, l’ha lasciata libera sabato scorso. Sul rientro in Italia di Silvia, sulle vesti tradizionali islamiche, sull’esultanza e sull’odio, poco c’è da dire se non un dichiarato disprezzo su chi strumentalizza la conversione della cooperante. E basta. Sull’intervista-colpaccio de La Repubblica, invece, si possono aprire alcune significative riflessioni.

Colpaccio perché sarebbe l’intervista che ogni giornalista vorrebbe fare. Chapeau. Ma la scelta di provarci, avere gli agganci giusti per riuscirci a due giorni dalla liberazione di Silvia, l’apparente basso profilo di mettere l’intervista a taglio medio nell’edizione on line del giornale, beh questa è tutta una strategia cifrata del direttore Molinari e della proprietà del quotidiano passata dai De Benedetti figli (messo ormai da tempo all’angolo il papà) alla famiglia Elkan ovvero alla Fiat di Torino. Ovvero alla cassaforte confindustriale del Nord.

Il titolo con l’evidente ovvietà della dichiarazione del terrorista somalo che ammette la scoperta dell’acqua calda – “I soldi del riscatto di Silvia per finanziare la jihad” – è un potente detonatore delle polemiche, tutt’altro che sottotraccia, destinate ad alimentarsi ulteriormente. Salvini, ospite da Lucia Annunziata, domenica scorsa, con fare da saggio statista ha finto di rimandare la polemica: “Nulla è gratis ma ora non chiedo quanto è costato”. Come se, avendo ricoperto lui stesso un ruolo di governo, non sapesse che la politica italiana dei nostri servizi segreti – dettata evidentemente da una scelta politica invariata da governi e governi – non sia dichiaratamente quella di trattare con i gruppi terroristici e pagare.

Da sempre. In tanti, quando a New York crollavano le Torri Gemelli, quando a Parigi si consumava la strage del Bataclan con una significativa parentesi precedente dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, quando a Madrid morivano alla stazione di Atocha, quando a Londra diverse stazioni della metropolitana venivano attaccate e morivano in 52, quando a Copenaghen tre diverse sparatorie in un centro culturale islamico facevano piombare la Danimarca in un clima di terrore, mentre a Bruxelles l’esplosione di due bombe in aeroporto faceva 32 vittime e 340 feriti, in tanti, appunto, si domandavano perché l’Italia fosse lasciato come terreno neutrale. Città come Roma, come Venezia, come Firenze, come Milano, sono sempre state oasi – incomprensibilmente – libere da un vero rischio terroristico. Chissà perché. Forse, potrebbe essere una spiegazione, perché i nostri servizi segreti hanno sempre trattato. E pagato quando è stato necessario. E poi tutti a far le verginelle e domandarci quanto questi cooperanti sfacciati che vanno ad aiutarli a casa loro debbano o non debbano essere liberati con il pagamento di un riscatto. Come se non fossero essi stessi, tasselli di un piano ben più ampio. Ben più collaudato. Che consente anche ai grandi gruppi della nostra economia internazionale di vivere e operare in paesi a rischio potenziale enorme. E oggi stiamo a stupirci perché il portavoce di Al Shabaab ci dice che i soldi del riscatto serviranno a finanziare la jihad. E noi che credevamo che servissero a finanziare gli asili nido dei piccoli somali.

Ragion di Stato? Politica internazionale? Chiamatela come vi pare. Ma, please, nessuna ingenuità. Come nessuna ingenuità può esserci a leggere questo titolo su Repubblica. E ai significati impliciti che si porta dietro e dentro. Ora fuoco alle ceneri del centrodestra. Che prenderà a cavalcare l’ovvio. E ripartirà da questo titolo per rimontare la corsa verso le prossime elezioni. Silvia Romano è libera. E il centrodestra, sotto sotto, esulta. Anche questa è La Repubblica, bellezza.

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