Il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, parlando delle soprintendenze ha detto qualche giorno fa in una conferenza a Palazzo d’Orleans che “per alcune è necessaria un’azione farmacologica, per altre invece servono interventi chirurgici profondi”.

È proprio così. Le soprintendenze siciliane non godono di buona salute. Lanciando su questa testata, la rubrica ‘Articolo14. Beni culturali a statuto speciale‘, prima dell’esito delle elezioni di novembre, indipendentemente quindi da chi poi le avrebbe vinte, avevo messo questi istituti al primo posto tra gli undici punti critici nel settore dei beni culturali. Undici punti su «cosa» e «come» fare. A cominciare, appunto, dalla necessità di «restaurare» le soprintendenze. Come? Per esempio, scrivevo, «reintroducendo il ruolo tecnico, contro la mortificazione di competenze e specialismi; ripristinando le singole unità operative, contro incongrue aggregazioni che indeboliscono o persino contraddicono la mission di ciascun istituto; attribuendo autonomia finanziaria». Andiamo con ordine.
Punto primo. Cos’è il «ruolo tecnico»? è quello per cui, ad esempio, a dirigere un parco che si chiama «archeologico», e non parco multidisciplinare, che non esiste, se non vogliamo includere Disneyland Park…, si dovrebbe nominare un archeologo, come fatto da questo Governo con Rossella Giglio a Segesta (non è, peraltro, corretto dire che sia il direttore del nuovo parco, che deve ancora essere nominato; l’archeologa, invece, dirige il «servizio» parco, che è altra cosa). Crocetta, invece, ha piazzato tre architetti a capo degli unici tre parchi autonomi siciliani, quelli che trattengono gli introiti, non versandoli, come fanno tutti gli altri istituti, nel bilancio generale della Regione. Direttori di musei, di biblioteche, soprintendenti, sono tutti d’accordo: «la colpa è della legge 10 del 2000!». La legge è quella che ha disegnato l’impianto organizzativo degli uffici dell’Amministrazione regionale. Da diciotto anni come un mantra vanno ripetendo l’iniquità normativa che ha reso intercambiabili tutti a prescindere dalla rispettiva qualificazione tecnica. Un architetto a capo di un parco archeologico: è la legge che lo consente. La politica ringrazia. Il fatto, però, è che di quella «famigerata» legge, prima di additarla sbrigativamente come causa del disprezzo con cui vengono tenute le competenze specialistiche nell’assegnazione degli incarichi, andava chiesta, al contrario, l’integrale attuazione. L’articolo 6, comma 2, rinvia, infatti, a un «regolamento da emanarsi» la disciplina delle «modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico articolato in modo da garantire la necessaria specificità tecnica e/o professionale, anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi in relazione alla peculiarità delle strutture».

Garantire la necessaria specificità tecnica e/o professionale: altro che marcato delle vacche. A legge appena varata, anche l’Ufficio Legislativo e legale della Presidenza sottolineava la necessità della «definizione dell’assetto funzionale della dirigenza» (parere 218/2000). A distanza di diciotto anni è evidente che per nessuno dei Governi regionali si sia trattato di una necessità.

È vero, anche, però, che non sempre l’imperativo è quello di nominare il dirigente «eccentrico» rispetto al ruolo. Prendiamo la nuova soprintendente di Siracusa. Non sono mancate le polemiche: è un dirigente di terza fascia, quando c’erano candidati di seconda; ha un curriculum che non regge il confronto con questo o quell’altro. Ma siamo così certi di poter ancora valutare il peso reale di curricula drogati da decenni di incarichi ottenuti garantendo fedeltà al politico di turno piuttosto che all’art. 9 della Costituzione? È una macchina che si alimenta in modo circolare: si accumulano titoli e incarichi con cui si gonfiano curricula da spendere per ottenere nuovi incarichi. Irene Donatella Aprile, architetto a capo di una soprintendenza, questa sì istituto multidisciplinare, si presenta con un curriculum «onesto». Si è occupata in particolare di progetti con fondi europei, il che non guasta dato il disastroso spreco di fondi comunitari di cui abbiamo appena detto essere campione la Sicilia, e Siracusa non fa eccezione. In cerca, poi, sul web del pregresso, la Aprile non si è insediata accompagnata da contestazioni di sorta da parte delle sempre attente associazioni ambientaliste, né da parte di altri. Non è così scontato. Insomma, lasciamola lavorare e aspettiamola alla prova dei fatti. Del resto, con i massicci pensionamenti di dirigenti di seconda fascia già in atto, sarà inevitabile attingere alle retrovie. La «riserva indiana» fatta da decenni dai soliti nomi ha bisogno di volti nuovi.
Punto secondo. La cura da somministrare alle soprintendenze dovrebbe ripristinare le singole unità operative (uu.oo.), contro gli incongrui accorpamenti di alcuni ambiti settoriali, anche questi un’eredità di Crocetta, per cui i beni architettonici fanno coppia con quelli storico-artistici e quelli paesaggistici con quelli demo-etnoantropologici. La necessità di contrarre la spesa non può giustificare che si sacrifichino (e torniamo al punto precedente) competenze e professionalità specifiche per ogni ambito. Senza dire che la riduzione dei posti dirigenziali non ha determinato effetti apprezzabili in tal senso.

Un solo esempio: con l’accorpamento delle uu.oo. Storico-artistiche e Architettoniche sono stati risparmiati 90.000 euro. Vale a dire l’indennità annuali dei dirigenti responsabili che ammontano ciascuna a 10.000 euro per le nove province. Ciononostante, le soprintendenze continuano a essere carenti di tutto, dalla carta per le stampanti alle lampadine alla benzina per le missioni sul territorio. Lo si può considerare un risparmio 10.000 euro da una parte e fare un grande spreco di fondi comunitari o foraggiare progetti di scarso valore dall’altra?

Non è solo una mal posta questione di spending-review, ma di travisamento storico del modello della soprintendenza siciliana: unica su base territoriale, organizzata in una équipe con competenze multidisciplinari, non può assicurare efficacemente, rispetto alle vecchie soprintendenze tematiche, lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, se non mantenendo distinti gli ambiti settoriali e garantendo a ciascuna unità operativa lo specialista appropriato. Ora che la Regione si prepara alla nuova rimodulazione degli assetti organizzativi dei Dipartimenti regionali, compreso quindi quello dei Beni Culturali, la necessità di contrarre la spesa non dovrebbe fare ancora una volta il paio con scelte irrazionali. Con la riorganizzazione del 2016 sono stati creati i poli museali. Nello Stato sono 17, uno per ogni Regione, 13 nella sola Sicilia. Un numero che non corrisponde nemmeno a quello delle nove province, perché in alcuni casi i poli sono due, invece che uno, distinti tra quello per i siti e i musei archeologici e quello per tutti gli altri siti culturali: è il caso di Siracusa e di Palermo, dove addirittura sono tre, con quello di arte moderna e contemporanea. Ecco, si inizi anche da qui.

Punto tre. Si parla da sempre di autonomia finanziaria per i parchi archeologici. Ancora nel novembre scorso proponevo anche la creazione di un sistema, inteso quindi come insieme organico, tripartito, con «Grandi musei» (come quelli statali: il Salinas come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, per esempio), poli museali e parchi archeologici, tutti dotati di autonomia gestionale e finanziaria, da assegnare sempre secondo un processo graduale di «sperimentazione» e secondo un principio di «solidarietà» tra istituti. Serve, anche qui, superare l’assenza di coerenza dell’attuale organizzazione del Dipartimento. Ma l’autonomia finanziaria la si potrebbe estendere anche alle soprintendenze, secondo percentuali da trattenere sulle diverse voci di introito e sempre secondo un test graduale. Per esempio, potrebbero trattenere delle percentuali sulle indennità risarcitorie che devono essere corrisposte da chi commette un abuso per interventi di riqualificazione paesaggistica. Attualmente vengono versate in un capitolo regionale (n. 1987) senza che nulla ritorni alla soprintendenza che le ha ottenute. Si tratta di veri e propri «tesoretti» da reimpiegare nell’acquisto di strumentazione tecnologica moderna, come nel finanziamento di attività quali il restauro del patrimonio delle soprintendenze o di opere frutto di sequestri, per mostre, ricerche, seminari di studio e convegni inerenti l’attività di tutela, ecc.

Ecco, la metafora medica usata dal Presidente Musumeci mi fa pensare che i farmaci da somministrare alle soprintendenze potrebbero essere anche quelli di irrorare il capitolo dedicato alle spese del loro funzionamento che garantirebbe «materiali di prima necessità», come inchiostro e carta per le stampanti, linee internet veloci, consentendo alle soprintendenze di esprimere pareri in pochi minuti, invece che incorrere nel silenzio-assenso; quelli di velocizzare il processo di dematerializzazione e informatizzazione degli atti, fornendo gli Uffici delle adeguate risorse tecnologiche, e di introdurre il protocollo informatizzato (di cui sono fornite solo in poche). Altra somministrazione farmacologica quella con cui favorire lo scambio di informazioni con gli altri Enti pubblici secondo procedure on-line: per esempio, poter effettuare le visure catastali presso l’Agenzia delle Entrate, consultare l’anagrafe presso i Comuni, ecc. Servirebbe ad accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti e fornire un miglior servizio all’utenza. La possibilità per il pubblico di accedere ai servizi on-line per richiedere autorizzazioni, informazioni, ecc. sarebbe un toccasana come un’aspirina.

Gli ‘interventi chirurgici profondi’ di cui parla il Presidente potrebbero, invece, riguardare il «capitale umano», sia tecnico specialistico che amministrativo, per un sistema che rischia la paralisi per i massici prossimi pensionamenti senza che sia previsto un turn over. Per razionalizzare gli organici, oltre a ristabilire il ruolo tecnico, si potrebbe eliminare la norma che prevede che al pensionamento di un responsabile di servizio questo non possa essere sostituito con uno di un’unità operativa, invece di ricorrere all’interim. Il patto di stabilità impone il blocco delle assunzioni. Ma in attesa che maturino i tempi per dar corso a «utopie» di cui scrivevo, come quelle di un «mecenatismo o sponsorizzazioni per il capitale umano», che investa cioè non sui beni, ma su risorse umane qualificate (concetto assimilato nel campo della ricerca universitaria, specialmente per le discipline scientifiche), si potrebbero prevedere almeno forme di «tutoraggio» da parte di quei dirigenti che la stessa Corte dei Conti ha ricordato essere stati mandati in pensione anche se, nella situazione attuale, potevano dare un contributo importante all’amministrazione sotto il profilo delle professionalità.

L’impressione, però, è che il malato sia considerato già terminale. Il disegno di legge con cui la Regione Siciliana recepisce la Legge Madia sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, approvato dalla Giunta il 19 settembre scorso, sposta, infatti, l’ultima parola dalle conferenze dei servizi, istituti previsti dalla legislazione per semplificare l’attività della amministrazione, alla Giunta di Governo. Poniamo il caso di richiesta di permessi edilizi da parte di un privato cittadino: se il terreno in questione è sottoposto a vincoli paesaggistici o archeologici, il Comune non può concedere l’autorizzazione in autonomia, ma deve obbligatoriamente convocare altri enti, tra cui, in questo caso, proprio la Soprintendenza. In caso di dissenso il privato, che già prima poteva ricorrere al Tar, stando al disegno di legge può proporre opposizione alla Giunta regionale. Sul trasferimento all’organo politico di decisioni spettanti esclusivamente agli organismi «tecnici», quali sono le conferenze dei servizi, si è, però, già espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 172/2018, rilevando l’illegittimità costituzionale, ma pure in riferimento allo Statuto siciliano, di quell’articolo 48 introdotto da Crocetta con la Legge di stabilità 2017 che per la valutazione di compatibilità ambientale degli interventi progettati prevedeva un simile trasferimento del potere decisionale. Funerali rinviati, almeno per il momento.

Nella Prima Lettera ai Corinzi Paolo di Tarso scrive che «Dio ha formato il corpo in modo (…) che le membra avessero la medesima cura le une per le altre» ( I Cor.12, 21-26). Ecco, la metafora evangelica del corpo unico si adatta all’immagine dei beni culturali da riformare organicamente meglio di quella con cui Agrippa espresse, invece, una concezione gerarchica della società (stomaco-senato, braccia-popolo): la riforma delle soprintendenze, cioè, non può non essere connessa a quella delle altre componenti di un intero sistema ormai prossimo al collasso.

Silvia Mazza – storica dell’arte – Il giornale dell’Arte