La crescita è tornata a fare capolino anche nell’area meridionale e insulare, dopo una recessione che per durata e profondità non ha precedenti nel secondo Dopoguerra. Nel 2015 il prodotto interno lordo del Mezzogiorno è aumentato dello 0,3% (+0,9% nel Centro/Nord). Otto anni di crisi hanno avuto effetti devastanti, su un’economia già in difficoltà che in termini di prodotto ha perso il 12,5%, tornando indietro di vent’anni. L’indagine semestrale Diste/Fondazione Curella, condotta tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 ha evidenziato il diffondersi di valutazioni meno pessimistiche sull’andamento dell’economia, rispetto ai giudizi espressi nell’indagine della metà del 2015.

E’ quanto emerge da “Il Sud dopo la Terza Guerra Mondiale si lecca le ferite”, il titolo dell’edizione numero 30 del Report Sud, il rapporto semestrale previsionale sull’economia del Mezzogiorno, realizzato da Diste Consulting per Fondazione Curella, presentato oggi nell’aula 11 dell’edificio 19 del Polididattico dell’Università degli Studi di Palermo, da Pietro Busetta (Università degli Studi di Palermo, Fondazione Curella), Alessandro La Monica (presidente Diste Consulting), Fabio Mazzola, pro rettore dell’Università di Palermo, presidente Aisre, Antonio Purpura (Università degli Studi di Palermo), Gaetano Armao (Università degli Studi di Palermo).

“Mentre in passato i consumi delle famiglie avevano subito una forte flessione, oggi siamo in una fase riflessiva – afferma Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella -. Il maggiore orientamento nei confronti delle spese sembra dovuto sia dalla misurata evoluzione del reddito disponibile, collegata all’incremento dell’occupazione, sia dal miglioramento del potere d’acquisto dovuto alla scomparsa dell’inflazione. Comunque – prosegue Busetta – la spesa di consumo è risultata non molto distante dai livelli precedenti. Otto anni di crisi hanno indotto le famiglie a modificare le loro abitudini di acquisto, obbligandole a spendere con grande oculatezza. Si è rinunciato a tutto quello di cui si poteva fare a meno e dove non era possibile si è agito sulla quantità a scapito della qualità. La ricerca del miglior prezzo ha orientato la spesa prevalentemente nei discount, outlet, mercatini rionali, via internet, e solo nei periodi dei saldi e delle offerte”, dice Busetta.

“Il Sud ha bisogno di meno autonomie regionali e più centralismo – aggiunge Pietro Busetta -. Un approccio diverso che lo renda veramente centrale. Al di là degli zero virgola di un approccio orizzontale che rimetta in discussione l’approccio cinquantennale al problema, Reggia di Caserta, Pompei, Ercolano, Salerno Reggio Calabria, Bagnoli, Timpa rossa, Matera, ecco bisogna ripartire da progetti certi e con date catenaccio in attesa del Ponte di Messina e di un grande evento che consacri il ritorno del Sud alla ribalta nazionale”.

“La fine della recessione ha determinato un cambiamento di rotta anche sul mercato del lavoro – sottolinea Alessandro la Monica, presidente Diste consulting -. Le stime Istat per il 2015 segnalano per il Sud/Isole circa 5 milioni 950 mila occupati, 94 mila in più dell’anno precedente: l’occupazione è aumentata dell’1,6%, grazie ad una dinamica positiva che si è prodotta nel primo semestre 2015 (nella seconda parte dell’anno c’è stato un robusto rallentamento), arrestando una serie quasi ininterrotta di otto flessioni”.

Una larga parte dei nuovi occupati ha trovato rifugio in agricoltura e nel serbatoio di sotto occupazione rappresentato dai servizi. Nell’industria la situazione è peggiorata, con la smobilitazione di 13.000 lavoratori, che, aggiunti ai licenziamenti precedenti, portano a 168.000 i posti di lavoro estinti dal 2007. Negli ultimi otto anni il sistema produttivo del Sud e Isole ha eliminato 516.000 posti di lavoro: ha cassato 807.100 posti a tempo pieno e ne ha creati 291.000 a tempo parziale.

In base alle stime Istat, nella media del 2015 il numero delle persone in cerca di occupazione sul territorio meridionale e insulare si è aggirato attorno a 1 milione 432 mila unità, segnalando una flessione del 6,1% sul 2014, la prima dopo sette anni di crescita impetuosa. Il tasso di disoccupazione è sceso al 19,4% (8,8% nel Centro/Nord). Modesta la flessione che ha ricondotto l’indicatore al di sotto della vetta psicologica del 20%, superata nel 2014 per la prima volta nell’ultimo mezzo secolo. Il tasso di disoccupazione giovanile è rimasto su livelli elevatissimi (54,1% nel Sud e Isole e 32,6% nel Centro/Nord). Dati drammatici.

Accanto ai disoccupati rilevati dalle statistiche (1 milione 432 mila) bisogna tener conto dei 2 milioni 187 mila residenti che pur non cercando un’occupazione assiduamente vorrebbero lavorare. Il tasso di mancata partecipazione al lavoro è un indicatore più esteso del tasso di disoccupazione, misura la quota di popolazione attiva e potenziale che non riesce a trovare lavoro. Permette di cogliere non solo i disoccupati, ma anche una parte della forza lavoro potenziale che non cerca attivamente un’occupazione perché è scoraggiata, o attende gli esiti di passate azioni di ricerca avviate con i centri per l’impiego. L’indicatore si calcola come rapporto percentuale tra le persone che non partecipano al lavoro (disoccupati più inattivi disponibili a lavorare, ma che non cercano) e le forze di lavoro allargate (occupati più disoccupati più inattivi disponibili a lavorare, ma che non cercano).

Nel Sud/Isole gli inattivi che non cercano un lavoro con continuità, ma sarebbero disponibili a lavorare immediatamente qualora se ne presentasse l’occasione, erano nel 2015 2 milioni 187 mila residenti nell’area meridionale e insulare; 1 milione 264 mila quelli residenti nel Centro/Nord.

La loro presenza nelle regioni del Mezzogiorno è debordante, assorbendo il 63,4% del totale nazionale, una quota quindi più alta di quella dei disoccupati di lunga durata (52,3%) e dei disoccupati in totale (47,2%).
Sommando a questi 2 milioni 187 mila inattivi i disoccupati dichiarati tali dalle statistiche ufficiali (1 milione 432 mila) si perviene all’aberrante cifra di 3 milioni 549 mila persone residenti nel Sud e Isole che non lavorano ma sarebbero potenzialmente disponibili a lavorare. Il tasso di mancata partecipazione (o tasso di disoccupazione allargato) del 2015 avrebbe perciò raggiunto quota 37,9%. Questa massa di 3 milioni 549 mila persone riproduce probabilmente la misura più appropriata dei senza lavoro, contribuendo alla formazione di un tasso di disoccupazione allargata, che sfiora il 38%, e cresce di dieci punti percentuali rispetto al 2007.

Dal 2008 ad oggi sarebbero scomparse dal territorio economico del Sud e Isole più di 60 mila imprese. Rispetto a sette anni prima, il Sud/Isole appunta la chiusura di oltre 41.500 mila artigiani, per una quota dell’11%. La flessione delle imprese artigiane ha coinvolto tutte le regioni del Mezzogiorno, in Sicilia si registra -2,1%. I fallimenti sono tornati a diminuire, il dato siciliano indica -14,2%. Le Startup innovative iscritte a fine dicembre 2015 nella sezione speciale del Registro Imprese ammontano a 1.200 nel Sud/Isole; l’area meridionale e insulare consegue un incremento di 348 unità (+42,1%). Le Startup iscritte nel Sud e Isole rappresentano il 22,8% del totale nazionale.

Sia gli investimenti in costruzioni sia quelli in beni strumentali avrebbero mantenuto livelli deludenti, condizionati da un clima di fiducia delle imprese orientato all’incertezza. Il risveglio del mercato abitativo, registrato nei mesi più recenti, non ha trovato finora nuovi fattori di sostegno in grado d’innescare un decisivo rilancio del settore. C’è da smaltire in primo luogo il cumulo d’invenduto degli anni passati. Larga parte dei modesti budget d’investimento delle imprese locali sarebbe destinata a beni materiali, mentre le quote di spesa in ricerca e sviluppo e quelle in immobilizzi immateriali rimangono trascurabili, soprattutto nelle aziende di ridotta dimensione.

La domanda interna ha mostrato cauti segni di rianimazione tanto dal lato dei consumi famigliari (+0,5% in volume) quanto da quello degli investimenti (+1,0%). La spesa familiare in quantità resta comunque bloccata sui livelli di vent’anni fa, la spesa in conto capitale sprofonda letteralmente, diminuendo di quasi il 40% rispetto al 2007. Il contributo della domanda estera è positivo anche se modesto: le esportazioni di merci crescono del 4,0% in termini monetari, dopo due flessioni precedenti, le importazioni scendono (del 5,6%) per il quarto anno di seguito.
Agricoltura, silvicoltura e pesca recupera le forti perdite dell’anno precedente, chiudendo il 2015 con una crescita del 5,5%. Il ramo delle costruzioni registra un incremento dell’1,5%, il primo dopo una serie continua di dieci smottamenti. Rispetto a undici anni prima, l’edilizia annota un calo di attività attorno al 36%. I servizi risentono del mancato deciso rilancio dei consumi.

Le previsioni per il 2016
Nella prima parte dell’anno emerge un profilo quasi piatto della congiuntura, cui segue nella seconda parte una discreta accelerazione. Le statistiche d’inizio anno denunciano un deterioramento del sentimento dei consumatori e produttori, probabilmente influenzato più dai tragici attentati di Parigi e Bruxelles che da attese economiche meno benevole per il breve termine. D’altronde, le misure della Bce, indirizzate a stimolare l’offerta di nuovi crediti, nel tentativo di sostenere la ripresa dell’area dell’euro e scongiurare il pericolo di deflazione, e soprattutto il basso prezzo del petrolio continueranno a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie e la redditività delle imprese, favorendo consumi e investimenti.

Il rafforzamento della congiuntura nella seconda metà dell’anno non consentirà di andare oltre un tasso d’incremento del PIL dello 0,8% nel Mezzogiorno e dell’1,1% nel Centro/Nord.
Sul versante della domanda, qualche progresso è percepibile sia per gli investimenti di rinnovo e sostituzione di beni strumentali ormai obsoleti (+3,7%), sia per quelli in costruzioni (+2,9%), sostenuti dal rilancio del mercato abitativo e dall’apertura di cantieri per la manutenzione e edificazione di opere infrastrutturali. I consumi delle famiglie registreranno un lieve recupero di dinamismo (+1,0%), in un quadro congiunturale poco evolutivo e pur sempre condizionato da una diffusa incertezza.

Dal lato dell’attività produttiva, il recupero più robusto si registrerà per il valore aggiunto del ramo delle costruzioni (+2,6%), quello meno apprezzabile per il valore aggiunto del ramo dei servizi (+0,2%). Sul mercato del lavoro la crescita dell’occupazione decelererà e la flessione della disoccupazione rallenterà. La domanda di lavoro aumenterà dell’1,2%, con la creazione netta di 70 mila nuovi posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione resterà elevato, al 18,6%, pari a 2,2 volte il tasso del Centro/Nord.
Dopo lo scossone inflitto dalla recessione, il motore dell’economia appare seriamente danneggiato, e il rilancio al ritmo di lumaca ne è un esempio calzante.