“Non ci fidiamo dello Stato, non sappiamo se avremo mai giustizia“. Sono parole forti quelle pronunciate da alcuni parenti delle vittime della strage di Monreale. Parole che potrebbero sembrare figlie del dolore, di una emozione forte e devastante ma che in realtà rischiano di essere molto di più dello sfogo di un momento drammatico.

La denuncia che ha avuto particolare eco a margine dei funerali di Salvatore, Massimo e Andrea, le cui giovani vite sono state spezzate da quella sparatoria, deve, però, farci riflettere oltre il singolo fatto, ancorché drammatico e inaccettabile.

Il neomelodico in diretta dal carcere

In queste ore assistiamo ad un altro fatto, non di sangue, ma comunque grave e indicativo. Durante un concerto davanti a 20 mila persone a Catania, al One Day alla Plaia un rapper, che come nome d’arte ha scelto “baby gang” videochiama un neomelodico molto noto: Niko Pandetta. Ma Pandetta, acclamato dalla folla, si trova in carcere. Nato come cantante neomelodico Pandetta è poi divenuto un trapper ma agli onori delle cronache era arrivato dedicando un brano a suo zio, il boss Turi Cappello. Non è chiaro se la telefonata fosse veramente in diretta o se sia stata registrata prima, fatto sta che i due cantano insieme una canzone. Qual è il messaggio lanciato ai giovani durante quel concerto del primo maggio?

Il criminale come eroe potente e rispettato

A noi “boomer” appare abbastanza chiaro quanto inaccettabile: il messaggio è sempre lo stesso ovvero quello del criminale come eroe potente e rispettato. Una cosa che nessuna delle precedenti generazioni si sarebbe mai sognata. Eppure adesso è così e con questo dobbiamo fare i conti.  I modelli di questi ragazzi sono fiction come Gomorra e Mare Fuori, solo per citare quelle che anche a Monreale sono state additate con striscioni indignati. Fiction che mitizzano il criminale.

Che il “boss” possa avere un fascino “dark” è cosa risaputa. Ma fino ad un decennio fa (o forse ventennio) questo fascino si limitava ad “acchiappare” fasce di disagio, giovani con poche prospettive. Era lì che bisogna intervenire per dare opportunità a quei giovani e sottrarli al “fascino criminale”.

Adesso le cose non stanno più così. Il “fascino criminale” avvolge anche ragazzi che di scelte ne avrebbero tante. Raccoglie proseliti fra le ragazze che voglio essere “cattive”. Non c’è più differenza di provenienza, opportunità, istruzione. Imporre il proprio dominio è diventato una scelta. Forse non sempre consapevole ma una scelta.

Armi a portata di mano

In questo mondo in cui la sopraffazione diventa stile di vita nel quotidiano, è diventato facile anche girare armati. Per questi ragazzi avere un’arma non è cosa complessa. Su instagram ci sono anche gruppi nei quali è possibile procurarsi armi con estrema facilità. Aprono e chiudono di continuo gruppi telegram. insomma i social hanno interconnesso anche questo genere di mercato nero rendendolo accessibile a chiunque.

La sfiducia di padri e madri e la paura di una società senza speranza

In questo clima bisogna leggere la sfiducia e la paura che affondano le loro radici in modo più profondo nella società: monrealese oggi perché la strage di sabato scorso è accaduta a Monreale, ma di qualsiasi altro luogo, quartiere città.

La tragedia di Monreale poteva essere prevista, forse evitata, sostengono amici e parenti delle vittime. ed emerge anche che, secondo il si dice, quello di sabato scorso non era, il primo scontro fra i palermitani e i monrealesi. In altre occasioni gruppi di giovani si erano pesantemente insultati, qualche volta erano anche venuti alle mani. Niente di così grave ma gli episodi ripetuti potevano e dovevano essere un segnale di allarme. Ma nessuno lo ha denunciato, nessuno lo ha raccontato. Nessuno lo sapeva?

La paura

Adesso regna la paura. Una paura che si è avvertita in occasione della fiaccolata di martedì scorso quando in tanti non sono scesi in piazza perché si era sparsa la voce che i palermitani erano tornati. I genitori, così hanno tenuto i ragazzi a casa e ora il grido è comune: dov’erano le forze dell’ordine quella sera, dove erano nelle settimane precedenti quando l’escalation era cominciata.

Ma qualcuno aveva allertato le forze dell’ordine? Questa la domanda che ci poniamo noi da osservatori. E poi genericamente le forze dell’ordine hanno le risorse per essere sempre presenti ovunque?

Bisogna cambiare rotta

Quello che serve è certamente un cambiamento di rotta. Non illudiamoci, nessuno di noi ha la soluzione. Ma una cosa appare evidente non basta l’approccio sociale e non basta ,l’approccio repressivo. serve una nuova vera alleanza fra istituzioni, società e famiglia. Serve la scuola ma non basta, serve la famiglia che torni a svolgere il suo ruolo, servono i servizi pubblici per dare opportunità e vie da seguire, servono i media che rinuncino al facile approccio dell’audience (globale, insomma che sia televisiva, radiofonica, on line, social) e propongano modelli responsabilmente costruiti. Ma per farlo serve soprattutto tornare ad un sistema sociale che non sia disintermediato fino al punto da sdoganare anche la morte, l’omicidio, il sangue come fosse solo una fiction.