Non ho mai avuto alcun sentore di una trattativa politica con la mafia. Casomai si può dire che ci sia stata una trattativa di polizia. In una fase in cui non c’erano pentiti né gli strumenti tecnologici attuali accadeva spesso che le forze di polizia avessero relazioni con i boss ad esempio per negoziare informazioni”.

Si torna a parlare della cosiddetta trattativa Stato-mafia: a negarne l’esistenza è un testimone eccellente, Luciano Violante, ex presidente della Commissione Antimafia negli anni delle stragi del ’92 e del ’93. Violante ha deposto al processo d’appello all’ex ministro Calogero Mannino, assolto in primo grado dall’accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato.

Mannino avendo scelto l’abbreviato è stato processato separatamente rispetto agli altri imputati, giudicati e condannati venerdì scorso dalla Corte d’assise. Secondo l’accusa l’ex ministro sarebbe stato motore della trattativa tra i carabinieri del Ros e la mafia. Tesi bocciata dal gup.

“Non mi sono mai accorto dell’esistenza di una trattativa politica, non ne ho mai avuto sentore”, ha detto Violante alla corte d’appello presieduta da Adriana Piras. L’ex politico ha invece ipotizzato la possibilità che i militari abbiano intavolato un dialogo con cosa nostra attraverso l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, ritenendo questo genere di contatti normali per l’epoca.

“Mancino, Martelli, Scotti e Scalfaro erano decisi contro la mafia non solo a parole, ma anche con i fatti”. Difende i governi e la politica degli anni delle stragi mafiose Luciano Violante.

Una valutazione la sua che cozza con la sentenza della corte d’assise di venerdì scorso che ha condannato gli ex vertici del Ros, boss e Marcello Dell’Utri, processati separatamente per la stessa vicenda, ritenendoli protagonisti della trattativa e accogliendo così la tesi dei pm che vedono proprio nei governi di quegli anni i referenti politici del dialogo che i militari avrebbero stretto con i clan.

“E comunque – ha aggiunto Violante – i capimafia furono tutti arrestati e i loro beni confiscati. Se ci fosse stata una trattativa per Cosa nostra sarebbe stata in perdita”.

“Le revoche dei 41 bis ai mafiosi – ha proseguito Violante – disposte dal ministro Conso nel ’93, furono conseguenza di una
sentenza della Corte costituzionale che impose valutazioni individuali per ciascun provvedimento di carcere duro a
differenza di quanto era avvenuto in precedenza e in passato per i terroristi”.

Secondo l’impianto accusatorio le revoche di diversi provvedimenti di 41 bis decise da Conso sarebbero uno dei segnali mandati dallo Stato alla mafia a dimostrazione della linea soft scelta nel contrasto ai clan in ossequio alla cosiddetta trattativa e in cambio della fine delle stragi.

Ma la valutazione di Violante è molto diversa dalla tesi dei pm e riconduce la scelta dell’allora Guardasigilli alle
indicazioni della Consulta.

Chiesi a Conso informazioni sui 41 bis – ha raccontato Violante – e un mese dopo mi mandò una relazione con un elenco di persone per cui era stato prorogato e altre per cui era stato revocato sulla base di una sentenza della Consulta che imponeva una valutazione caso per caso”.